lunedì 31 ottobre 2011

Woodcock, vittima dal suo stesso metodo

 

Il magistrato napoletano scopre quanto è brutto essere vittima dell'abuso di intercettazioni e della loro diffusione incontrollata; ma perché se ne accorge solo ora?

                                                    Henry John Woodcock
 
Il metodo anti Woodcock, in effetti, è uno scandalo. E lo sapete perché? Perché assomiglia in tutto e per tutto al metodo Woodcock. Se fossimo dei fan della legge del contrappasso potremmo dire che al magistrato delle inchieste vip è stata applicata l’antica regola del «chi la fa l’aspetti»:in fondo quel che di ( brutto) gli è successo è né più né meno che quello di (brutto) lui faceva succedere agli altri. Uso abnorme delle intercettazioni, superamento dei limiti formali e territoriali, ricorso al gossip giudiziario: quello che sarebbe stato messo in campo contro Woodcock è esattamente quello che lui metteva in campo contro le sue vittime. Sia chiaro: lui è innocente. Ma anche molte delle sue vittime lo erano. Però, per loro, chissà perché non si è mai indignato nessuno…
Invece per Woodcock sì, sono tutti indignati. Il Sacro Coro delle Penne Riunite da qualche giorno sta spandendo ettolitri d’inchiostro per deprecare giustamente la macchina infernale messa in campo da un gruppo di magistrati per cercare di delegittimare cinque loro colleghi, a cominciare appunto da Henry John. Sia chiaro: se tutto questo sarà dimostrato i responsabili dovranno pagare, in primis i due capi della presunta «associazione», cioè i sostituti procuratori di Potenza, Gaetano Bonomi e Modestino Roca. Ma quello che sfugge al Sacro Coro, tutto impegnato a difendere l’eroe di Vallettopoli, abbandonando cautele e condizionali d’obbligo, è un piccolo particolare: che differenza c’ètra il metodo applicato contro Woodcock e quello che lui applicava contro i suoi indagati?
A prima vista, pare assai poco. In entrambi i casi siamo di fronte a: abuso di intercettazioni, telefoni controllati quando non avrebbero dovuto esserlo, raccolta di informazioni al di fuori della competenza dei magistrati, illecita diffusione di notizie che riguardano la vita privata. Cosa c’è di diverso se finisce sui giornali la foto di Woodcock che fa footing con Federica Sciarelli o la telefonata di Vittorio Emanuale con la prostituta Alice? Far pubblicare il gossip su una presunta amante è più grave che far pubblicare le telefonate in cui l’erede Savoia parla di bambine e sardi?
Woodcock è innocente, si dirà. Anche Vittorio Emanuele lo era, come dimostrato dalle inchieste. Entrambi, dunque, sono finiti (innocenti) al centro di una macchina che li ha infangati, meritano entrambi la solidarietà. Soltanto che di una macchina John Henry è vittima, dell’altra è il manovale. Tirare in ballo le amiche solo perché personaggi televisivi è scandaloso, ci ripetono indignati i giornalisti del Sacro Coro.
Che c’entra la conduttrice Rai Sciarelli? Già: non c’entra nulla. Più o meno come la conduttrice Rai Anna La Rosa, infangata con presunte accuse che sono cadute nel nulla. Ci scandalizziamo tutti per la Sciarelli vittima del metodo anti Woodcock, d’accordo.Ma dov’erano gliindignados quando Anna La Rosa rimaneva vittima del metodo Woodcock?
Dicono i bene informati che gli autori del metodo anti-Woodcock avevano messo in piedi questo sistema capace di sfruttare i giornali di gossip perché volevano guadagnare prestigio e visibilità. Ma guarda un po’:non mirava ad acquisire prestigio e visibilità anche John Henry? Non è per quello che le sue inchieste sfondavano i confini della competenza territoriale e andavano a cercare nomi noti, da titolo sul giornale, in giro per l’Italia?Non è per quello che dalla fino allora dimenticata Procuradi Potenza sono passati tutti i volti possibili della Tv e del jet set?
Come vedete, alla fine, tra metodo Woodcock e metodo anti Woodcock ci sono molte analogie e poche differenze. Entrambi mirano a mettere una persona nel frullatore, senza preoccuparsi del fatto che sia colpevole o meno, ma danzando lunga la linea sottile della credibilità. In entrambi entrano in gioco magistrati che esondano rispetto alle loro funzioni. In entrambi si scivola dalla giustizia al gossip, dai fatti accertati ai pettegolezzi. L’unica vera differenza, a pensarci bene, è che le vittime del metodo Woodcock, pur essendo innocenti, a volte sono finite in carcere. Quelle del metodo anti Woodcock, per fortuna no.
E dunque, a questo punto, se fossimo fan del contrappasso, ripeteremmo: chi di spada ferisce… Ma siccome il contrappasso non ci piace, e il metodo anti Woodcock ci fa orrore tanto quanto il metodo Woodcock, ci limitiamo a una gentile richiesta: mentre ci indigniamo tanto per il trattamento cui è stato sottoposto il pm da copertina, qualcuno potrebbe gentilmente ricordargli che è, più o meno, lo stesso trattamento cui lui sottoponeva le sue vittime? Senza nessun rancore, sia chiaro: solo per chiedergli una testimonianza. Solo per sapere in presa diretta l’effetto che fa.

Ingroia confessa: "Sono un pm partigiano"

Dopo diciott'anni lo ammettono: non tutta la magistratura è imparziale nei confronti del Cav e della politica. A dirlo un magistrato simbolo della sinistra
 
                                              Antonio Ingroia
Ci sono voluti diciott'anni, ma alla fine lo hanno ammesso: nei confronti di Silvio Berlusconi e della politica non tutta la magistratura è imparziale. A dirlo è uno dei procuratori simbolo della sinistra, Antonio Ingroia, leader dell'antimafia siciliana, l'accusatore, tanto per intenderci, di Marcello Dell'Utri. Citiamo testualmente: «Un magistrato deve essere imparziale ma sa da che parte stare. Io confesso di non sentirmi del tutto imparziale, anzi, mi sento partigiano». Parole terribili, per di più pronunciate in una assise politica, il congresso del Partito comunista di Diliberto. L'outing di Ingroia permette finalmente di rileggere, e riscrivere, la recente storia dei rapporti tra politica e giustizia: pm di parte hanno tentato di abbattere Silvio Berlusconi e la sua maggioranza perché si sono auto investiti di una missione con radici divine che travalica i loro compiti, cioè decidere chi e come ci deve governare al di là delle leggi e del responso elettorale. Partigiani di sinistra che si sono scagliati contro il centrodestra per liberare il Paese da un nemico di classe.
Ingroia andrebbe allontanato dalla magistratura, da subito. L'ammissione rende incredibile ogni suo atto futuro, qualsiasi cittadino elettore del centrodestra che capitasse in una sua inchiesta potrebbe e dovrebbe ricusarlo per dichiarata imparzialità. Ma tutto il suo lavoro passato andrebbe rivisto alla luce di questa ammissione, a partire dall'accanimento che ha portato alla condanna a sette anni in secondo grado di Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Per non parlare dei pentiti da lui scagliati contro Berlusconi con effetti giudiziari nulli ma mediaticamente devastanti.
Ingroia è dunque stato un magistrato che si rifiuta di essere «esecutore materiale di leggi ingiuste», come ha detto ieri. Chi decide se una legge è giusta? Lui? E perché non io. Oggi è legittimo chiedersi quanti sono stati e sono i magistrati nelle condizioni di Ingroia. Quante sono state le inchieste politiche, quante le sentenze viziate da una visione privatistica della giustizia? E con che coperture nella filiera che detta la legge? Altre domande. Il Consiglio superiore della magistratura era al corrente dell'esistenza di una P2 al proprio interno? Qualcuno può escludere che anche la Corte Costituzionale sia affetta dallo stesso virus? Che cosa ne pensa e che cosa intende fare il Capo dello Stato di fronte a una simile ammissione? Per ora c'è soltanto una risposta certa: ci sono arbitri che fanno anche i giocatori. E Gianfranco Fini non è più l'unico.

domenica 30 ottobre 2011

Fli è in campo. Ma Fini deve essere il Presidente della Camera o il presidente del partito?






Gianfranco Fini sarebbe il presidente della Camera, una figura teoricamente imparziale. Teoricamente, appunto. Adesso, ammesso che ci fosse veramente bisgono dell'ufficialità, Futuro e Libertà, la sua sgangherata creatura politica, getta la maschera. "Siamo in campo, il Terzo Polo è in campagna elettorale, come lo è Berlusconi". Certo, Fini non è stato talmente spudorato da dirlo in prima persona. Ha dato mandato di farlo al fedelissimo Caremlo Brigulio, che ha preso la parola diffondendo una nota.

L'attacco a Berlusconi - Fini siede sullo scranno più alto di Montecitorio e guida un partito in dichiarata campagna elettorale, anche se le elezioni non sono ancora state fissate. Un evidente controsenso. Reso ancora più evidente da come prosegue la nota di Briguglio, vicecapogruppo vicario di Fli alla Camera. Non poteva infatti mancare l'attacco frontale a Silvio Berlusconi: "Scajolani, ex responsabili, scontenti, fuggitivi da Fli, sottosegretari di fine stagione, onorevoli usa e getta: Berlusconi si prepara a gettarli in mare ripulendo le liste del partito che è sua proprietà personale", attacca spudorato.

Ora Fini si dimetta - Quindi il pasdaran Briguglio scrive anche la storia futura del Pdl. "Macchè primarie - prevede con la palla di cristallo -, macchè Formigoni o Alfano: il candidato premier è e sarà ancora lui (Berlusconi, ndr). Lo ha detto chiaro: deve difendere le sue aziende, le sue antenne, gli interessi dei suoi figli. Solo gli ex dc il cui modello politico è don Abbondio hanno paura di prendere atto della realtà. Noi - conclude - lo abbiamo capito da tempo. Per fortuna Fli è in campo, il Terzo Polo cresce e Fini è in campagna elettorale". Ecco: si dimetta.

Ecco i veri assenteisti in parlamento, e poi danno lezioni di moralità agli altri.







Giovedì 27 sono arrivati pure trafelati. E non perché a fine mese fosse giorno di paga anche per loro. Nel Transatlantico di Montecitorio suonava la sirena che chiamava tutti i deputati al voto. Dovrebbe accadere ogni giorno alla Camera dei deputati. In realtà si votano provvedimenti normalmente fra  martedì pomeriggio e giovedì mattina: due sedute antimeridiane e due pomeridiane alla settimana. Non accade quasi mai: almeno un terzo dell’aula è vuota di tradizione a meno che in calendario ci sia il voto su grandi eventi: fiducia del governo, manovre economiche, leggi sulla giustizia, richieste di autorizzazioni a procedere delicate.
CORSA TRAFELATA
Giovedì 27 erano in calendario alcune mozioni parlamentari a favore del trasporto pubblico locale. Cose da peones, nella tradizione. Eppure al suono della campanella erano lì a correre trafelati per non tardare al voto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, il capogruppo del Partito democratico, Dario Franceschini, e quasi tutti i vip dell’opposizione.  Il giorno precedente in aula si votavano altre mozioni sul risarcimento a favore delle persone che hanno subito danni da incidenti stradali. Non proprio un argomento da prima pagina. Quando è suonata la campanella, eccoli lì tutti di corsa: Bersani, Franceschini, Casini, Antonio Di Pietro, Giovanna Melandri, Valter Veltroni, Giorgio La Malfa, Massimo D’Alema.
È  così dall’inizio di ottobre, per la prima volta nella legislatura. Una fatica per i leader dell’opposizione, come mai avevano provato in tanti anni di onorata carriera parlamentare. I Bersani, i Veltroni, i D’Alema e i Casini sono sempre stati in cima alla classifica delle assenze nelle sedute che non venivano riprese in diretta televisiva. Un leader che si rispetti non va a votare una leggina: ha cose più importanti da fare. Si fa vedere solo quando c’è da prendere la parola su questioni vitali, e possibilmente a telecamere aperte.
Da ottobre  invece Pd, Udc, Idv , Fli e gruppetti sparsi dell’opposizione hanno capito,  anche grazie all’incidente del governo finito sotto sul rendiconto generale dello Stato, che se si mettono di impegno forse riescono in quel che sembrava impossibile: fare cadere da palazzo Chigi Silvio Berlusconi.  Il presidente del Consiglio  li ha così costretti a un superlavoro che nemmeno si immaginavano. E siccome il rischio è dietro l’angolo, in questo mese di ottobre i poveri Bersani, D’Alema, Casini, Di Pietro, Franceschini, Veltroni e compagnia si sono dovuti sciroppare di tutto. C’è il trattato aereo con il Regno hascemita di Giordania? Eccoli  lì in prima fila nei loro banchi a pigiare il bottone. Chissà se Silvio cade alle porte di Amman. C’è il trattato aereo con la Georgia? Occasione ghiottissima. Proviamo a fucilarlo lì. Tutti presenti pure al voto della ratifica sulla navigazione sul Lago Maggiore e quello di Lugano. Naturalmente non sono mancati al voto sull’accordo di cooperazione con il Kuwait in materia di istruzione, né alla ratifica sulla convenzione delle Alpi.
Presenze a dire il vero un po’ inutili, perché è tradizione il voto congiunto di maggioranza e opposizione su quasi tutti i trattati internazionali, spesso firmati da un governo e poi votati in aula quando c’è una maggioranza diversa. Ma non si sa mai, magari ci si intigna su un comma e l’agguato a Silvio è possibile. Come non essere lì nel giorno della festa?
Per qualcuno di loro il superlavoro di questo mese deriva anche da una sorta di psicodramma personale. Tutta colpa di una associazione, la Openpolis, che a fine settembre ha messo in fila tutto il proprio database di presenze, votazioni, e lavoro in aula e commissioni dei due rami del Parlamento, compilando una classifica assai velenosetta. Hanno scoperto che la maggioranza quasi mai è stata tale in aula.  E che se Berlusconi è ancora in piedi lo deve alle generose assenze delle opposizioni. Fossero stati in aula avrebbero mandato a casa il governo da molto tempo. Openpolis ha fatto anche una classifica terribile di chi ha fatto il regalone al Cavaliere.

LA LISTA NERA
In testa c’è proprio il segretario democratico   Pier Luigi Bersani: 2306 assenze decisive al voto. Terzo posto Di Pietro: 2019 assenze-dono al Cavaliere. Quinto posto per D’Alema: 2003 assenze per cui Berlusconi ringrazia. Nono posto Franceschini: 1534 assenze. Tredicesimo posto per Enrico Letta (1446 assenze), quattordicesimo per Lorenzo Cesa, segretario Udc (1437 assenze), quindicesimo per Giovanna Melandri (1361) e diciassettesimo per Veltroni (1317).  Sui siti Internet, sui blog e fra i militanti di partito è montata una rabbia dilagante verso i loro leader da cui si sono sentiti presi in giro. Così li hanno mandati a lavorare. E loro adesso tristemente ogni giorno timbrano il cartellino

Miracoli dell'aspirina: ora batte anche il cancro

 

 

Il farmaco riduce il rischio di sviluppare tumori al colon, pure se si è predisposti geneticamente. La cura efficace solo se quotidiana e di almeno due anni. Ma i medici avvertono: "Nessuna prescrizione di massa, bilanciare vantaggi e pericoli"



                                                               Una donna tiene nella mano due pasticche
  
 
Tra un po’ le metteranno l’aureola visto che fa «miracoli»: è un toccasana per febbre e influenza ma previene gli infarti, le trombosi e ora il cancro al colon. Parliamo di «Santa aspirina»,quella polverosa pastiglietta bianca che nel mondo viene ingoiata a valanga: 40mila tonnellate ogni anno. E d’ora in avanti se ne consumerà ancora di più. Usando due aspirine al giorno per 25 mesi si previene il cancro al colon-rettale nel 63% delle persone ad alto rischio. Questa è infatti la conclusione a cui sono arrivati alcuni ricercatori della Newcastle University che hanno pubblicato sulla rivista Lancet uno studio molto dettagliato.
Gli scienziati hanno studiato 861 persone in 16 paesi diversi tutte portatrici di sindrome di Lynch (la forma ereditaria di questo tumore) che hanno assunto due compresse da 300 milligrammi di aspirina al giorno o un placebo (cioè semplice amido) tra il 1999 e il 2005. Al 2010 i risultati: sono stati rilevati 19 nuovi casi di tumore del colon-retto in coloro che avevano preso l’aspirina e 34 nel gruppo sotto placebo. Nelle persone che avevano assunto aspirina per più di due anni - circa il 60% del totale- gli effetti sono stati ancora più pronunciati, con 10 casi di cancro nel gruppo con aspirina e 23 in quelli che hanno preso il placebo: una riduzione del 63%.
Il successo della sperimentazione ha sorpreso persino il coordinatore della ricerca. Il professor Sir John Burn della University of Newcastle, ha affermando infatti che «i dati emersi sono pressoché impressionanti perché in effetti l’aspirina riduce il rischio del cancro ». Positive le reazioni dei ricercatori anche in Italia.
Alberto Bardelli, oncologo dell’Istituto di ricerca sul cancro di Candiolo, considera interessante l’indagine per la sua «ampiezza» ma non la trova del tutto innovativa. «Il beneficio dell’aspirina sul cancro al colon era già noto- spiega- . Questo lavoro insomma, dimostra in modo formale e su un ampio numero di pazienti quello che altri studi avevano già messo in evidenza».
Come l’indagine condotta da Peter Rothwell e John Radcliffe dell’Hospital di Oxford. Anche i due ricercatori erano arrivati alla conclusione che l’aspirina può ridurre di un quarto le probabilità di sviluppare un tumore al colon e di oltre un terzo la sua gravità, quindi il pericolo di morte per questa neoplasia. Quello studio aveva coinvolto più di 14mila persone, tenute sotto osservazione per quasi 20 anni. Ed era emerso che chi assume l’aspirinetta regolarmente ( in dosi da circa 75 milligrammi al giorno) per almeno sei anni ha un rischio ridotto del 24 per cento di ammalarsi e del 35 per cento di morire a causa del tumore. «Il farmaco però va assunto con cautela e solo dopo un’attenta valutazione del bilancio tra rischi e vantaggi - avevano precisano i ricercatori britannici - perché, com’è noto, può provocare sanguinamenti gastrointestinali e ulcere». Insomma, non ci sarà una prescrizione di massa dell’acido acetilsalicilico, ma potrebbe venire consigliato a chi è considerato a elevato rischio di sviluppare la neoplasia. Ma, nonostante le dovute cautele Bardelli consiglia: «In caso di predisposizione ereditaria io penso che una terapia con l’aspirina contro il cancro al colon- retto sia assolutamente da considerare ». E non sono pochi i soggetti interessati. La neoplasia del colon-retto ereditaria è la causa principale di morte per tumore con circa 160.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno nei soli Stati Uniti. Di questi, tra il 2 e il 7% è causato da una forma ereditaria della malattia chiamata sindrome di Lynch. In Europa vengono diagnosticati ogni anno circa 250.000 nuovi casi di tumore al colon- retto che corrispondono al 9% di tutte le tipologie di cancro.

Basta rifiuti, adesso la solidarietà è finita: Vendola lascia De Magistris nell'immondizia

Vendola aveva fatto la morale ai governatori del centrodestra. Ora sbatte lui la porta in faccia a De Magistris. E l’aiuto di Pisapia non è mai arrivato. Tra colleghi di coalizione braccio di ferro a colpi di diffide e ricorsi al Tar

                                                       
 
Vendola rifiuta i rifiuti, e «molla» l’immondizia all’amico De Magistris. Nell’infinita telenovela dei rifiuti campani, il colpo di scena che non t’aspetti arriva dal cambio di faccia della Puglia solidale del «poeta» Nichi. La cui giunta, dopo aver manifestato disponibilità a smaltire gli accumuli di rifiuti, da luglio ha deciso di dichiarare guerra ai camion carichi di «munnezza» made in Naples, diffidando gli organismi campani e la discarica tarantina a cui i rifiuti erano diretti dal proseguire i trasferimenti, e avviando un braccio di ferro a colpi di diffide e ricorsi tra Tar e Consiglio di Stato.
Tra fine 2010 e estate 2011 i nuovi «picchi» dell’endemica emergenza rifiuti a Napoli e in Campania hanno portato, agli appelli delle amministrazioni campane, del Governo e del Quirinale, alla «solidarietà» delle altre regioni, affinché si facessero in parte carico dello smaltimento dei rifiuti che soffocavano la città partenopea.
La richiesta d’aiuto, come sempre in Italia, è divenuta una sorta di spartiacque politico, tra i propositi inflessibili della Lega («I rifiuti li accolgano le regioni limitrofe») e il tentativo del centrosinistra di accreditare le proprie amministrazioni come le uniche «solidali». In prima fila, tra queste ultime, la Puglia vendoliana.
Con i suoi esponenti pronti a dettare alle agenzie parole di fuoco contro quanti manifestavano dubbi sulla politica delle porte aperte alla munnezza. Ecco così che a dicembre scorso, poco dopo l’annuncio della «solidarietà» pugliese, arrivava il «no» veneto, firmato dal governatore Zaia. A cui replicava polemico proprio Vendola, prima annunciando di voler ridurre i flussi di rifiuti diretti in Puglia dal Veneto a favore di quelli campani, poi accusando lo stesso Zaia di «furbizia» per nascondere «una dolorosa fuga dai doveri della solidarietà e della responsabilità verso il sistema Paese». Ecco dunque che le braccia di Nichi, e le discariche pugliesi, si aprono ai «campani nostri fratelli». L’esempio di Vendola raccoglie proseliti in altre regioni guidate dal centrosinistra, come la Toscana di Enrico Rossi e l’Emilia Romagna di Vasco Errani. Solidali ma con misura, se è vero che in Emilia finiscono destinate appena 5mila tonnellate di rifiuti, dirette a Imola per lo smaltimento.
L’elezione a Napoli dell’ex pm De Magistris, candidato per l’Idv, stesso partito dell’assessore pugliese all’Ambiente Lorenzo Nicastro, ex pm pure lui, sembra solo rinsaldare l’asse mediatico-solidale. Anche perché De Magistris della questione-munnezza fa una bandiera sia in campagna elettorale che dopo l’insediamento. L’ennesima emergenza all’inizio dell’estate, e il riproporsi dell’ipotesi di affrontarla con l’aiuto delle «regioni limitrofe», se da un lato spinge il sindaco-ex pm a chiedere «solidarietà non a parole», dall’altro innesca ancora la dialettica vendoliana. Il governatore pugliese, da «patriota dell’Italia» (la definizione è sua), chiede che «concretamente le altre regioni, che hanno espresso solidarietà televisiva, la esprimano concretamente».
Il neosindaco di Milano, Pisapia, se la cava incassando gli elogi di De Magistris con l’invio di sette compattatori. E il sindaco esulta anche, a luglio, per un generico placet alla solidarietà da Genova.
Tutti contenti? E no. Una settimana dopo Vendola si accorge che nei camion che portano i rifiuti campani in Puglia c’è di tutto, anche quello che non dovrebbe esserci, dai copertoni al toner delle stampanti. E così l’uomo amareggiato dal cinico Zaia dichiara subito guerra alla «munnezza» partenopea. Annuncia che «da un momento all’altro può scoppiare in Puglia una rivolta legittima e sacrosanta», lamentando in conferenza stampa come «inaccettabile» che «il nostro territorio sia molestato da un trasporto non a norma di rifiuti».
E denunciando il tentativo di fatto di «trasferire l’emergenza dalla Campania alla Puglia», aumentando la quota di rifiuti a dismisura rispetto a quanto previsto dal «protocollo poi violato». Il cerchio si chiude negli ultimi mesi, a colpi di carte bollate, con Vendola e il suo assessore Nicastro che chiudono le discariche e denunciano la «violazione degli accordi». Prendendosela, ovviamente, non con l’amico sindaco De Magistris, che pure come detto l’emergenza l’ha cavalcata, ma col governo campano, con la protezione civile, con Palazzo Chigi.

Il rottamatore apre la guerra all'interno del Pd Poi segna un gol con un calcio a Bersani

 

 

Il sindaco riconquista Civati e prepara il ticket-primarie con Chiamparino. L’ira del segretario. Il leader: "Ora basta scalciare". La replica: "Non sono un asino". 

                                                              
 
 
Il parallelo - un po’ faceto ma un po’ anche serio - lo fa un parlamentare del Pd che tifa Renzi: «Il programma potrebbe essere quello del Berlusconi “liberal” del ’94, mai realizzato. Si mette Giorgio Gori (l’ex direttore di Canale5 e patron di Magnolia, ndr) al posto di Dell’Utri a occuparsi della macchina, e chi lo ferma più Matteo?».
Tra le suggestive quinte da archeologia industriale della ex stazione Leopolda, dove Renzi guida la sua seconda convention (ieri quasi 8mila partecipanti), si guarda attorno allegro Arturo Parisi. L’ex eminenza grigia di Prodi, soprannominato nell’Ulivo «Alì il chimico» per l’instancabile inventiva contro gli apparati Ds e Margherita, è qui e confessa che forse è proprio Renzi quello che realizzerà il suo sogno non coronato: «Far esplodere l’ex Pci», e la sua propaggine di sinistra Dc «che non a caso vengono tutti dalle regioni rosse». E provocare quel big bang creativo della vecchia sinistra cui oggi il giovane sindaco fiorentino intitola la sua kermesse, ma che è l’obiettivo cui Parisi ha sempre lavorato, e che il Pd, blindato dai soliti «compagni di scuola» post-Pci, non ha mai realizzato. Renzi ha un vantaggio: non viene dalla scuola comunista e non ne ha ereditato alcun tic, totem o tabù.
Può permettersi di mandare a quel paese i sindacati «conservatori» (che lo detestano e ieri, col Prc, gli hanno organizzato una contestazione dei lavoratori dell’azienda trasporti comunale, cui ha risposto a brutto muso: «Gli ho chiesto di lavorare 10 minuti in più, in tempi di crisi non mi sembra poi una roba da pazzi»). Può ironizzare su Vendola («Quando lui già buttava giù Prodi insieme a Bertinotti, io stavo ancora all’università») e maramaldeggiare su Di Pietro («Si deve essere impegnato parecchio a scegliere i suoi candidati, da Scilipoti in giù»), non essendo afflitto dalla paralizzante sindrome del pas d’ennemis a gauche. I sondaggi dicono che può prendere voti a destra, ma persino in quei movimenti «antipolitici» che il Pd tenta inutilmente di corteggiare: «È molto ben visto dalle potenziali truppe grilline e da chi probabilmente si asterrebbe», spiega il professor Natali di Ipsos su Europa. Non a caso Grillo e i suoi lo tempestano di insulti sul web.
Ma anche nel quartier generale Pd iniziano ad avvertire il pericolo, e lo si capisce dai toni aggressivi usati ieri da Bersani: la contrapposizione giovani-vecchi è «una stupidaggine di proporzioni cosmiche», e i giovani che vogliono «andare avanti» non devono «insultare e scalciare», ma «mettersi a disposizione». Renzi replica sferzante: «Io non scalcio perché non sono un asino, e certo non sono abituato a fare la fila per prendere ordini dal capocorrente: questo Bersani non me lo può chiedere». Il segretario Pd a Firenze non si fa vedere, è a Napoli a un’iniziativa su giovani e Sud «appositamente organizzata», malignano i renziani.
E prepara contromisure: l’annuncio che le primarie saranno aperte e che verrà abolito l’automatismo «segretario=candidato premier» vuol disinnescare il pericolo di un’esclusione forzata di Renzi dalla partita, che lo trasformerebbe in martire ed eroe. L’ex ministro Gentiloni fa un’ipotesi: «E se Renzi volesse le primarie non per vincerle, ma per rompere il Pd e creare qualcosa di completamente nuovo che riempia il vuoto tra sinistra e terzo polo?».
Di certo molti annusano l’aria e si avvicinano al vascello pirata di Renzi: veltroniani, lettiani, persino Franceschini lancia un messaggio di interesse (via twitter, ovvio), prodiani. Il Professore fa smentire di tifare per il sindaco (in attesa di capire come andare al Quirinale), ma i suoi sono qui. Torna pure Pippo Civati, che con Matteo aveva rotto per riavvicinarsi a Bersani. Il più applaudito è Sergio Chiamparino: grande sindaco di Torino per dieci anni, oggi messo ai margini dal Pd. «Invece di spaventarsi, i leader Pd dovrebbero apprezzare la linfa vitale che viene da questi dibattiti», dice. E non esclude di partecipare anche lui alle primarie, «se nessun altro programma mi convincesse», ma è pronto a «mettersi a disposizione, anche senza fare il numero uno». E qualcuno già sogna il ticket, con il saggio Chiamparino a correggere un po’ a sinistra l’inconoclasta Renzi.

Obama elogia l'Italia: nostro grande alleato Al G20 prenderemo insieme decisioni importanti

In vista delle prossime elezioni presidenziali, Obama parla alla serata di gala nella Niaf, la massima organizzazione di italo-americani e dice: "L'Italia è uno dei più saldi alleati degli Stati Uniti e tra i fondatori della Nato, lavoreremo insieme al G20 per prendere una serie di decisioni molto importanti per l'economia globale"

                                                      Il presidente americano Barack Obama
  
 
E' un Barack Obama sorridente quello che viene accolto dagli applausi della comunità italoamericana alla serata di gala nella National Italian American Foundation. Ci vuole poco perché il presidente americano guadagni la simpatia delle 2.500 persone sedute ai tavoli della International Ballroom del Washington Hilton Hotel.

"Viva l'Italia", ha esclamato in italiano, passando però subito dopo all'inglese per celebrare lo stretto legame tra gli Stati Uniti e l'Italia. Obama infatti ha definito l'Italia "uno dei più saldi alleati degli Stati Uniti e tra i fondatori della Nato" e ha detto di attendere il G20 della settimana prossima "per lavorare con l'Italia per prendere una serie di decisioni molto importanti per l'economia globale".
Poi il tono si è fatto più faceto. A un anno dalle prossime elezioni presidenziali del 2012, Obama cerca di attrarre il consenso anche delle minoranze. E quale migliore occasione, se non questa, per saldare il rapporto con la comunità italoamericana
"Non ho antenati italiani, non so cantare come Frankie Avalon, Michelle non mi lascia mangiare il secondo piatto, non so cucinare come le vostre nonne, l'unica cosa che posso offrire è un cognome che finisce per vocale", ha detto Obama, dicendosi "happy to see so many amici" (felice di vedere così tanti amici).
Obama non ha perso l'occasione per ricordare gli italoamericani che hanno combattuto per gli Stati Uniti: "Cosa sarebbe l'America senza gli italiani?", ha detto ricordando Giovanni da Verrazzano e Cristoforo Colombo, Enrico Fermi e Frank Sinatra, Joe Di Maggio e Sofia Loren, Machiavelli?
Infine Obama ha dedicato un pensiero agli emigranti italiani arrivati nel corso degli anni negli Stati Uniti, soprattutto quelli del dopoguerra: "Sono venuti in cerca di un'opportunità, senza avere molto, non erano ricchi. Ma avevano un'incrollabile speranza nelle possibilità americane, nel fatto di potere essere liberi e di potercela fare se ci avessero provato. Non è stato facile, non sempre sono stati i benvenuti", ma sono poi diventati un esempio del sogno americano che ha spinto i genitori a volere il meglio per i propri figli.

sabato 29 ottobre 2011

La leggenda di Jack-o' lantern: un personaggio macabro e cattivo!








Intagliare delle zucche con volti minacciosi e porvi una  candela accesa all'interno è il tradizionale rito di Halloween. Queste zucche si chiamano "Jack-o'-lantern" perchè traggono origine dall'omonima leggenda irlandese, tipica di questa ricorrenza. La leggenda racconta che il fabbro "Stingy Jack", ubriacone e dissoluto, vendette l'anima al Diavolo per pagare i suoi debiti di gioco. Incontrato il Demonio la sera di Halloween, Jack gli offrì da bere. Questi accettò, per poi poter riscuotere il dovuto. Jack però sfido il Diavolo, dicendo che dubitava che potesse trasformarsi in qualsiasi cosa volesse. Il Diavolo si trasformò in una moneta che avrebbe pagato la bevuta, e gli eccessi, di Jack. Il fabbro però fu lesto a mettere la moneta in tasca, assieme ad una croce d'argento che possedeva, impedendo così al Diavolo di ritrasformarsi. Jack si accordò con il Diavolo perchè lo lasciasse in pace per un anno, con il proposito nel frattempo di cambiare vita e redimersi. Il Diavolo accettò, ma Jack lasciò trascorrere il tempo senza ravvedersi e senza curarsi della moglie, dei poveri e andare in chiesa, come si era proposto. Quando l'anno successivo al giorno di Halloween il Diavolo si presentò, Jack riuscì ancora a bleffarlo, riuscendo a fare con lui un patto che prevedeva che non l'avrebbe preso per dieci anni. Però l'anno seguente Jack morì. Rifiutato dal Paradiso, si presentò all'inferno, ma anche qui il Diavolo, in base al loro patto lo rifiutò. Quando Jack si allontanò dalla porta dell'inferno, il Diavolo gli scagliò un tizzone ardente, che Jack pose dentro una rapa cava, per farsi luce nel suo eterno vagare alla ricerca di una dimora. Questa leggenda irlandese voleva far meditare, specie i più piccoli, sulla condotta di vita e quanto fosse brutto il vagare nelle tenebre (reali e simboliche). Divenne tradizione scavare le zucche e illuminarle all'interno con una fiamma, per esporle di notte.
Quando si vedono i  fuochi fauti causati dalla materia in decomposizione sulle sponde delle paludi si dice che sia Jack O'Lantern che vaghi in cerca di riposo.
Secondo la Chiesa…
All'interno della  Chiesa cattolica alcuni vescovi si sono espressi più volte contro tale festa.
Halloween sarebbe un giorno particolarmente significativo per i satanisti in cui vengono celebrate numerose messe nere e riti satanici. L'elogio del macabro, non sarebbe altro che un modo subdolo per avvicinare anche i più piccoli al Satanismo.
Per tutto questo, noi non festeggiamo Halloween!!
Noi siamo cristiani, seguaci di Gesù…seguaci del bello, del buono, della gioia…
Per cui diciamo:
“ NO HALLOWEEN ” e “ VIVA LA FESTA DI TUTTI I SANTI!”

Renzi accende il Big Bang all'interno del Pd Ma Vendola lo spegne: "Sei vecchio e di destra"

 

La kermesse dei rottamatori va avanti. Mancano i leader del Pd che hanno preferito solo mandare qualche messaggio su twitter. Il sindaco di Firenze non se ne preoccupa e accusa: "Se il Pd parlasse di problemi concreti e non parlasse soltanto male di Berlusconi in tanti gli darebbero fiducia". Vendola boccia Renzi: "Sei vecchio quanto è vecchio il liberismo"

                                                     Matteo Renzi
Matteo Renzi ha ricevuto l'accusa più infamante per un giovane del Pd che vuole "rottamare" i dinosauri del partito: "Sei vecchio". Così lo ha apostrofato il leader di Sel Nichi Vendola che ha commentato il "Big Bang", la kermesse della stazione Leopolda di Firenze dove fino a domenica i giovani rampanti del Pd discuteranno di come cambiare il partito e soprattutto delle prossime primarie". "Considero Renzi una persona molto interessante, molto simpatica, con una cultura politica essenzialmente di destra. - ha spiegato Vendola a Radio24 - Lo considero incapace di porre il tema della fuoriuscita dal disastro che il liberismo, in un trentennio, ha compiuto nel mondo intero e quindi mi sento molto antagonista delle ragioni di Renzi. E invece sento una sensibilità comune a quella di Pierluigi Bersani nella ricerca di quella giustizia sociale che deve essere il cuore di una politica di alternativa. Considero la querelle generazionale inappropriata, una maschera che nasconde le cose. Renzi è molto più giovane di me e di Bersani ma è molto più vecchio culturalmente e politicamente di me e di Bersani. Renzi è vecchio quanto è vecchia la rivoluzione liberista nel mondo".
Le polemiche dunque non sono mancate alla Leopolda. Ma la convention va avanti comunque. Renzi ha le idee chiare su come intende il nuovo Pd. "Se il Pd parlasse di problemi concreti, ragionasse di proposte precise e non parlasse soltanto male di Berlusconi, se raccontasse un’idea credibile, io credo che tanti cittadini gli darebbero fiducia. Vogliamo - ha proseguito Renzi - che tanti cittadini votino il Pd perché il Pd che corre solo per partecipare ci ha stancato. Noi siamo per vincere non per partecipare".
Ma a Renzi non interessa tanto la polemica sulle primarie del Pd e tira dritto: "Tutti i giochini sulle primarie li lasciamo agli addetti ai lavori. Noi ragioniamo di cose che possono interessare e servire agli italiani non agli schiacciatasti del Parlamento. Non è un problema di chi candidamo alle primarie - ha proseguito Renzi - ma un problema un pò più ambizioso e più grosso: l’Italia è in crisi e noi abbiamo bisogno di rilanciarla. Basta - ha detto ancora Renzi - con quelli che parlano soltanto male degli avversari. Noi siamo qui tre giorni per raccontare quello che faremmo noi per rimettere in modo l’economia, l’impresa, l’associazionismo, il volontariato, le famiglie. Io non faccio paura, non sono bellino ma mi sembra assurdo che incuta timore. Io credo il Pd dovrebbe avere paura di chi non ha idee, questa sala è un’assemblea di tante persone diverse che di idee ne hanno moltissime la vera sfida sarà riuscire a farle funzionare e a garantirne la concretizzazione".
Intanto alla Leopolda si rivede anche Pippo Civati, il consigliere regionale della Lombardia che aveva lanciato con Renzi la prima convention dei rottamatori, e che poco tempo aveva rotto con il sindaco di Firenze. "Non c'è nessun colpo di scena. Tante persone mi hanno chiesto di venire, non vedo perché non sarei dovuto venire. Bisogna superare le divisioni del passato, le divisioni del partito che non portano da nessuna parte. La partecipazione alle convention è libera. Non ho mai litigato con Matteo Renzi. E' Renzi che ha preso le distanze da me. E questo lo dico senza malizia e senza ironia. Oggi sono alla Leopolda perché molti mi hanno chiesto di venire e trovavo giusto essere presente per partecipare. Bisogna iniziare ad includere le persone, e il Pd questo lo dovrebbe capire meglio. Le divisioni appartengono al passato", ha spiegato Civati.
Altra nota stonata per i "renziani" è l'assenza della leadership del partito. A stigmatizzare il mancato supporto della dirigenza del Pd ci ha pensato il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell'Anci Graziano Del Rio. "Sono stupito più che altro dell’assenza dei dirigenti del Pd, che invece dovrebbero essere qui, ad appuntamenti come questo. Questo non è un evento che divide - assicura Delrio - dobbiamo ringraziare Matteo per questa occasione, perchè non solo non chiede fedeltà, ma innesca una cosa nuova".
Alla Leopolda c'è voglia di aria nuova e lo capisce anche l'ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino che si butta, anche lui, nella mischia dei guastafeste di Bersani annunciando la sua candidatura alle primarie: "Se nessun programma mi convincesse potrei anch’io decidere di aggiungermi".
Il capo gruppo alla Camera Dario Franceschini, pure lui fra i grandi assenti, si è limitato a inviare un messaggio via twitter ai rottamatori: "Dalla Leopolda arrivano energie ed idee che arricchiscono il Pd. Si può non condividerle, ma come si fa ad averne paura, anzichè dire grazie?". Infine su una probabile candidatura di Renzi alle primari del Pd Arturo Parisi è cauto, e lancia la sfida al sindaco di Firenze: "Matteo Renzi, per essere un candidato premier, deve presentare proposte da confrontare in contraddittorio, non solo alzare la mano"

Direttore Coldiretti Campania - Prisco Lucio Sorbo

                                             
 

Da luglio 2010 il Dott. Prisco Lucio Sorbo è il Direttore della Federazione Regionale Coldiretti Campania e della Federazione Provinciale Coldiretti Napoli.
Di origini campane, sposato e padre di tre figli, Sorbo è dottore in Agraria, con laurea conseguita presso l'Università di Napoli.
La sua esperienza professionale inizia nel 1970 quando, ancora studente, collabora con un'azienda tabacchicola in qualità di responsabile e fiduciario nei rapporti tra produttori e trasformatore.
Arriva in Coldiretti nel 1985, quando viene assunto presso la federazione provinciale di Caserta, dove si occupa del settore tecnico ed economico. Dopo un periodo di direzioni provinciali, nel 2000 approda ai vertici della federazione regionale della Calabria. Qui rimane fino alla nomina a capo di Coldiretti Toscana. Dal 21 settembre 2009, Sorbo assume la direzione di Coldiretti Bologna, dove metterà la propria esperienza al servizio dell'obiettivo principale di Coldiretti: dare concretezza e forma al progetto nazionale per una filiera agricola tutta italiana.
"Filiera agricola tutta italiana" e "filiera corta" sono infatti i due perni dell'attività del nuovo direttore di Coldiretti Campania e Coldiretti Napoli, assicura Sorbo, in continuità con il lavoro svolto da Amendolara. "E' motivo per me di grande orgoglio ricoprire questo incarico - commenta a caldo -. E' semplice impostare un percorso di continuità su questo territorio, che ospita tante eccellenze da valorizzare sempre di più". Il neo direttore lavorerà per "dare risalto ai prodotti agricoli italiani per quello che sono, nella reciprocità tra prodotto e territorio".
Sorbo intende dare alle imprese associate un servizio di massima efficienza e sostegno nella competizione sui mercati, dando disponibilità a quello spirito di squadra che per Coldiretti è un valore aggiunto a disposizione dei soci.
Il presidente di Coldiretti Campania Gennaro Masiello e la numero uno di Coldiretti Napoli Filomena Caccioppoli sottolineano che "sarà un cambio di direttore che non produrrà strappi o effetti bruschi; passeremo da una valida professionalità a un'altra altrettanto valida".

BEATO GIOVANNI PAOLO II – “Il Gigante di Dio”

« Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! 
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! 
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! 
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! »





Giovanni Paolo II, al secolo, Karol Józef Wojtyła, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di CracoviaQuando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia,
il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del “Teatro Rapsodico”, anch’esso clandestino.Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha.Successivamente fu inviato a Roma, dove, sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: “Valutazione della possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler“. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.Il 4 luglio 1958, il Venerabile Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia dal Servo di Dio Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di S. Cesareo in Palatio, Diaconia elevata pro illa vice a Titolo Presbiterale.Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo PontificatoI Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera.
  • I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104.
  • In Italia ha compiuto 146 visite pastorali.
  • Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).
Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni : alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo.
Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza:
  • 38 visite ufficiali;
  • 738 udienze o incontri con Capi di Stato;
  • 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Nel 1985, cominciò  la sua opera con
le Giornate Mondiali della Gioventù.
Furono 19  le edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato , allae quali hanno partecipato i milioni di giovani di varie parti del mondo. I suoi incontri mondiali dedicati allla famiglia  da lui iniziati  ebbero inizio a partire dal 1994.Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi.Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo. Ha celebrato:
  • 147 cerimonie di beatificazione e proclamato 1338 beati;
  • 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi.
Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.
Egli ha proclamato la Festa della Divina Misericordia
in occasione della  canonizzazione di Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, il 30 aprile del 2000.
Discorso Giovanni Paolo II
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi:
  • 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990, 1994 e 2001),
  • 1 assemblea generale straordinaria (1985),
  • 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Tra i suoi documenti principali si annoverano :
  1. 14 Lettere encicliche,
  2. 15 Esortazioni apostoliche,
  3. 11 Costituzioni apostoliche,
  4. 45 Lettere apostoliche.
Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.
Ha scritto 5 libri
1.     “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994);
2.     “Dono e mistero“: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio” (novembre 1996);
3.     “Trittico romano“, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003);
4.     “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004);
5.     “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.
Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro-
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II.
La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Card. Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma. Il 2 aprile 2007, a due anni dalla morte, nella Bas. di S. Giovanni in Laterano, lo stesso cardinale ha dichiarato conclusa la prima fase diocesana del processo di beatificazione, consegnando le risultanze alla Congregazione per le Cause de Santi.
Al 1° aprile 2009, le segnalazioni di presunti miracoli al vaglio della Congregazione per le Cause de Santi erano 251.
Il 19 dicembre 2009, con un decreto, che ne attesta le virtù eroiche, è stato proclamato venerabile
Il 14 gennaio 2011 Benedetto XVI ha promulgato
il decreto che attribuisce un miracolo all’intercessione di Papa Giovanni Paolo II.
Secondo quanto riportato dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi,si tratta della guarigione dal morbo di Parkinson (lo stesso di cui ha sofferto Giovanni Paolo II)della religiosa francese suor Marie Simon-Pierre, avvenuta la sera de 2 giugno 2005.
La cerimonia di beatificazione ha avuto luogo in Piazza S. Pietro il 1° maggio 2011, Domenica della Divina Misericordia (festa istituita dallo stesso Giovanni Paolo II ) Durante questo evento, trasmesso in mondovisione, oltre un milione e mezzo di fedeli, provenienti da tutto il mondo, ha affollato la piazza e tutte le strade circostanti. Circa 90 sono state le delegazioni internazionali che hanno presenziato alla cerimonia.
« Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà.
Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema della sua prima Enciclica e il filo conduttore di tutte le altre. »
E ha concluso, visibilmente commosso, in questi termini :
« E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa. »

Quando Halloween diventa la notte degli orrori.

A fine pagina La testimonianza di due fidanzati, adescati in un bar e condotti a un «party»di Halloween, finito in tragedia: «Ci drogarono e subimmo violenza»





Nessun dolcetto, né scherzetto. Ma droga   e stupri e sangue. «Non eravamo mai stati a una festa di Halloween: ci sembrava una cosa stupida e superficiale. Ma questa persona di mezza età, così distinta, così educata e cortese che ci invitò con garbo ad andarci, ci convinse. Soprattutto per la curiosità, una volta, di vedere».
Nel 2005 aveva ventuno anni Carmen (nome di fantasia, ndr) e il suo fidanzato due di più. Lo incontravano da tempo, quel signore distinto di mezza età, quasi ogni mattina nel bar dove facevano colazione, al centro di questa cittadina del Nord Italia. Spesso avevano scambiato quattro chiacchiere a modo: non che fossero diventati amici, ma lui abilmente, senza fretta, aveva saputo conquistarsi la fiducia dei due ragazzi. E alla fine diede loro l’indirizzo dove ci sarebbe stata quella festa di Halloween alla quale li aveva così amabilmente invitati.
Arrivarono, la sera del 31 ottobre di tre anni fa, in un casolare di campagna, isolato, deserto tutt’intorno. «Appena entrammo ci sembrò una cosa un po’ ridicola, perché erano tutti in maschera, sebbene con abiti molto lugubri e tetri: streghe, vampiri, streghe, zombie». Una cinquantina di persone, forse poco di più, donne e uomini.
Due grandi sale e nessuna luce elettrica: soltanto candele, dappertutto. Musica, neppure troppo alta, in uno dei due stanzoni. «Quasi subito ci sentimmo imbarazzati: io e il mio ragazzo eravamo gli unici a non essere mascherati, a non avere il volto coperto». Il distinto signore non aveva detto loro che la ‘festa’ sarebbe stata in maschera.
«Mangiammo. Bevemmo cocktail alla frutta, ricordo che alcuni sapevano di fragola e altri di lampone». Non tutti i bicchieri li presero dal buffet, alcuni li porse loro sempre quel signore di mezza età e non ci fecero caso, poiché era assai gentile come al solito e com’era stato anche ogni mattina al bar.
Verso la fine della cena accadde qualcosa che «ci colpì molto», continua a raccontare Carmen con la voce che le si fa un filo: «Nella sala più grande entrò un uomo vestito completamente di nero, con un grande mantello ed un cappuccio sul volto. E tutti, nessuno escluso, tranne noi due, si misero in ginocchio ». S’avvicinò ad ognuno, lentamente, e a ciascuno impose le sue mani, mentre «tutti s’erano messi a parlare una lingua incomprensibile ». Ne furono assai «impressionati» entrambi. Pensarono tuttavia «fosse una specie di gioco che facesse parte delle feste di Halloween». Non conoscevano il mondo dell’occulto: «Credevamo che certe cose che si leggono o si sentono fossero solamente fantasie e invenzioni».
Perché però a quel punto non andarsene via e tornare a casa? Carmen e il fidanzato ci provarono. «Avevo mal di testa, nausea, mi girava la testa, volevo uscire – ricorda lei – andai verso la porta, ma era chiusa a chiave. Chiesi aiuto al mio ragazzo, ma neanche lui si sentiva bene e neanche lui riuscì ad aprire la porta, non ci riuscimmo nemmeno provando insieme». E qui finiscono i suoi, i loro, ricordi: barcollano sfumando nei giramenti di testa sempre più forti e infine in un buio vuoto.
Si risvegliò per primo lui verso le quattro del mattino. Scosse subito lei che dormiva ancora. Era nuda, completamente, aveva molti tagli sulle braccia e sul corpo, graffi, lividi e altri segni di abuso. Erano da soli: nel casolare non c’era più nessuno. La loro auto era ancora parcheggiata lì fuori, lui la portò al pronto soccorso dell’ospedale più vicino. Furono sottoposti a molti esami ed analisi. Lei aveva subìto violenze sessuali ed entrambi nel sangue avevano della Ketamina (una droga anestetica, utilizzata soprattutto in veterinaria, che deprime il sistema nervoso centrale, riduce la frequenza cardiaca e respiratoria e abbassa la pressione).
Qualche giorno, più tardi lui, il fidanzato di Carmen – che oggi è suo marito – tornò in quel casolare. E ci trovò il proprietario: «Dovete far finta che non sia mai accaduto nulla», disse l’uomo al ragazzo. «Cerchiamo di capirci subito: non dovete approfondire, ma lasciar perdere. Se non volete avere dei ‘problemi’ quella sera per voi non c’è mai stata ». Carmen era terrorizzata. Le arrivavano telefonate anonime. Non riuscì più ad uscire di casa per tantissimo tempo. Venne seguita da uno psicoterapeuta. Dovette spostarsi e, per un anno, andare a vivere col suo fidanzato a qualche centinaio di chilometri dalla loro cittadina, nella quale però non incontrarono mai più quel signore «di mezza età, così distinto, educato e cortese».
È stato terribile per lei dover rivivere, raccontandolo al cronista, quella notte. Non voleva farlo. Ci ha pensato a lungo. Alla fine ha solamente chiesto l’anonimato più assoluto, perché ha deciso di «far sapere, soprattutto ai giovanissimi che pensano a questa festa come a un appuntamento molto bello e molto ‘ cult’, che proprio la notte di Halloween si fanno cose orrende». Perché «i ragazzi vanno messi in guardia, tanto, chiaramente, senza timori di andare controcorrente, soprattutto le ragazze».
Socchiude gli occhi, fa un respiro lento e profondo: «Oggi, quando penso ad Halloween, capisco che la mia vita è stata rovinata – dice prima di salutarci –. E che di questa rovina porto i segni sulla mia anima e sulla mia pelle».”

Halloween origini di una festa NON CATTOLICA


 



Le origini di Halloween sono antichissime: risalgono all’epoca in cui Francia, Irlanda, Scozia e Inghilterra erano dominate dalla cultura celtica, prima che l’Europa cadesse sotto il dominio di Roma.
Per i Celti l’anno nuovo non cominciava il 1° gennaio, come per noi oggi, bensì il 1° novembre, quando terminava ufficialmente la stagione calda ed inziava la stagione delle tenebre e del freddo.
Alla fine di ottobre il lavoro nei campi era concluso, il raccolto era al sicuro ed i contadini potevano finalmente rilassarsi, preparandosi a vivere chiusi in casa per molti mesi, riparandosi dal freddo, costruendo utensili e trascorrendo le serate a raccontare storie e leggende.
Ovviamente questo era il pretesto per organizzare la vigilia del 1° novembre la festa più importante dell’anno, una sorta di Capodanno dedicato a “Samhain”.
“Samhain” era una divinità, era considerato il Signore della Morte e il Principe delle Tenebre.
I Celti credevano che alla vigilia di ogni nuovo anno, cioè il 31 Ottobre, Samhain chiamasse a sè tutti gli spiriti dei morti, che vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata Tir nan Oge.
In questo giorno tutte le leggi dello spazio e del tempo erano come sospese e il velo che divideva il mondo dei vivi dal mondo dei morti si faceva più sottile, permettendo alle anime di mostrarsi, di comunicare con i viventi e di divertirsi alle loro spalle, fecendo scherzi ed impaurendoli con le loro apparizioni.
“Samhain” era una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno.
La notte del 31 ottobre i Celti si riunivano nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro e facevano sacrici animali. Vestiti con maschere grottesche ritornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro.
Dopo questi riti i Celti festeggiavano per 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.
In Irlanda si diffuse la tradizione di lasciare qualcosa da mangiare e del latte da bere fuori dalla porta, in modo che gli spiriti passando potessero rifocillarsi e decidessero di non fare degli scherzi agli abitanti della casa.
Attraverso le conquiste romane Cristiani e Celti vennero in contatto. Durante il periodo della cristianizzazione dell’Europa, la Chiesa tentò di sradicare i culti pagani, ma non sempre vi riuscì. Nel tentativo di far perdere significato ai riti legati alla festa di Samhain, nell’ 835 Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti, dedicata a tutti i santi del Paradiso, dal 13 Maggio al 1° Novembre.
Tuttavia l’influenza del culto di Samhain non fu sradicata e per questo motivo la Chiesa aggiunse, nel X secolo, una nuova festa: il 2 Novembre, Giorno dei Morti dedicato alla memoria delle anime degli scomparsi, che venivano festeggiati dai loro cari, mascherandosi da santi, angeli e diavoli e accendendo dei falò.
In inglese Ognissanti si chiama All Hallows’ Day; la vigilia del giorno di Ognissanti, cioè il 31 ottobre, si chiama All Hallow’ Eve. Queste parole si sono trasformate prima in Hallows’ Even, e da lì ad Halloween il passo è stato breve.
 Nonostante i tentativi della Chiesa cristiana di eliminare i riti pagani di Samhain, Halloween è rimasta una festa legata al mistero, alla magia, al mondo delle streghe e degli spiriti.
Tra il 1845 e il 1850, a causa di una malattia che devastò le coltivazioni di patate, circa 700.000 Irlandesi emigrarono in America, portando con sè le loro usanze, tra cui anche quella di festeggiare Halloween.
Negli Stati Uniti Halloween ha perso i suoi significati religiosi e rituali, ed è diventata un’occasione per divertirsi e organizzare party. Pare che ogni anno gli Americani spendano due milioni e mezzo di dollari in costumi, addobbi, feste per il 31 ottobre!
L’abitudine di mascherarsi in occasione di Halloween deriva probabilmente dall’usanza celtica di indossare pelli di animali e maschere mostruose durante i riti di Samhain e dell’accensione del Fuoco Sacro, per spaventare gli spiriti e tenerli lontani dai villaggi.
L’usanza dei bambini di bussare alle porte delle case gridando Trick or treat, che significa più o meno dolcetto o scherzetto, deriva dall’usanza dei Celti di lasciare cibo e latte fuori dalla porta, nella speranza di ingraziarsi gli spiriti ed evitare le loro malefatte.
Quando gli Irlandesi arrivarono in America, scoprirono che le zucche erano molto più adatte di cipolle e rape per la costruzione delle tradizionali lanterne di Halloween. Quindi la tradizionale Jack o’lantern, simbolo incontrastato di questa festa, è ricavata da una zucca solo da circa 100 anni.