sabato 23 aprile 2011

Il pentito Spatuzza riconosce lo 007 dell'attentato al giudice Borsellino






"Gaspare Spatuzza non ha mai identificato il dott. Lorenzo Narracci come l'uomo, estraneo a Cosa Nostra, presente nel garage in cui fu predisposta l'autobomba utilizzata per la strage di via D'Amelio". Così il difensore di Narracci, Michele Laforgia, in una nota dopo le notizie pubblicate dalla stampa. Ha aggiunto che "Spatuzza ha infatti precisato di non essere in grado di riconoscere la persona avvistata 'per pochi attimi' nell'autorimessa, limitandosi a confermare che il dottor Narracci corrisponde alla persona già individuata in fotografia come 'somigliante' con quella persona".
I fatti - Nuove rivelazioni, ancora tutte da verificare, sulle stragi di mafia del '92. Il funzionario dell’Aisi Lorenzo Narracci, indagato dai pm di Caltanissetta nell’ambito dell’inchiesta sugli attentati a Falcone e Borsellino, sarebbe stato indicato dal pentito Gaspare Spatuzza come "il soggetto estraneo a Cosa nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell’attentato al giudice Paolo Borsellino". Narracci, all’epoca dei fatti, era in servizio presso il centro Sisde di Palermo alle dipendenze di Bruno Contrada.
A Spatuzza sono state mostrate più persone dietro a un vetro e il pentito non avrebbe avuto esitazioni nell'indicare Narracci, in precedenza già riconosciuto in foto. Anche Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, ha riconosciuto nel funzionario dell'Aisi "l'uomo che in un'occasione incontrò il padre nella sua abitazione". Tra Ciancimino e l'agente c'è stato un confronto: lo 007 ha però negato di avere mai visto i Ciancimino.

"Sant'Oro", ovvero il vero protettore televisivo di Ciancimino



Attenzione alle date, perché è così che si crea un «pentito mediatico». Uno di quelli che escono dai tribunali e irrompono in televisione, in particolare in quella confezionata da Michele Santoro con il suo Annozero.
Il 10 marzo del 2007 Massimo Ciancimino, figlio minore di Don Vito, l’assessore del sacco di Palermo ( 5mila concessioni edilizie in un giorno)  viene condannato dal tribunale siciliano per riciclaggio. Il 4 aprile dello stesso anno inizia a collaborare con le Procure di Palermo e Caltanissetta. L’8 ottobre del 2009 è ospite di Annozero. L’intera puntata, dal titolo “Verità nascoste” è dedicata proprio al «caso Ciancimino» e ai rapporti fra mafia e politica. Sandro Ruotolo, braccio destro di Santoro, intervista il figlio di don Vito che racconta la sua versione dei fatti circa la trattativa fra la Mafia e lo Stato e parla del famoso «papello», scritto a mano da Salvatore Riina e consegnato a don Vito dal figlio. Da lì parte la trattativa con lo Stato. Ed è da lì che inizia la beatificazione televisiva di Ciancimino junior, celebrata da Santoro e denunciata da Giuliano Ferrara nella puntata di ieri sera di Radio Londra. Al quale Santoro non replica, preferendo occuparsi delle barzellette del premier: «No, Ferrara no, non rispondo». Meglio la barzelletta sulla segretaria.
Anzi, meglio Ciancimino. Il 10 dicembre del 2009, infatti il grande accusatore di Dell’Utri e Berlusconi è di nuovo ospite di Santoro. Nell’intervista con Ruotolo l’ex ragazzo d’oro di Palermo, che sino al 2007 aveva trascorso la sua esistenza fra barche e Ferrari, racconta - per la prima volta - come il «suo silenzio» fosse stato concordato con agenti dei servizi segreti. Il 30 dicembre del 2009 la Corte di Appello assolve Ciancimino dal reato di tentata estorsione e gli riconosce le attenuanti generiche per la sua collaborazione. La condanna viene ridotta da 5 anni e 8 mesi a 3 anni e 4 mesi per gli altri capi di imputazione e, ritenendo credibili le affermazioni in merito ad alcune irregolarità processuali, la Corte trasmette gli atti alla Procura della Repubblica per ulteriori accertamenti. Un concatenamento di fatti ed eventi casuali fra loro, oppure una perfetta regia televisiva? Difficile dirlo. Il dubbio viene, visto che verbali e interviste continuano ad intersecarsi fra loro. Tanto che Ferrara  parla dell’esistenza di un caso «Santoro-Ciancimino».
Il figlio di Don Vito il 18 novembre 2010 viene chiamato in Procura a Palermo dal pm Antonio Ingroia per un interrogatorio nel corso del quale risponde ad alcune domande riguardanti l’avvocato Niccolò Amato, ex direttore del Dap di Palermo.  Ciancimino, fra le altre cose, sostiene che Amato, dopo essersi dimesso dal Dap e dalla magistratura nel giugno 1993, diventa il legale del padre Vito su indicazione del generale Mario Mori. Amato, nel 1993, è stato l’autore di un documento inviato all’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso, nel quale proponeva la revoca del carcere duro (41 bis) per i mafiosi onde evitare altre stragi. Conso, sostenendo di aver agito in proprio, decise, tra il maggio e il novembre del 1993, di revocare il carcere duro a circa 300 detenuti.
Massimo Ciancimino è di nuovo ospite di Santoro nella puntata del 25 novembre del 2010, assieme al vice direttore di Libero Franco Bechis. Tema centrale della serata è la condanna in appello inflitta al senatore Marcello Dell’Utri. Secondo i giudici l’esponente della maggioranza fu, almeno fino al 1992, il mediatore fra la mafia e Silvio Berlusconi. E Massimo Ciancimino è uno dei perni sui quali poggia questa tesi. Anche in questo caso prima  in Procura e poi in televisione. Prima i verbali poi la vetrina mediatica, dietro alla quale si parano meglio i «colpi».
Perché Ciancimino, nel frattempo, trova il modo di scrivere un libro dedicato al padre.  “Don Vito” (scritto insieme al giornalista de La Stampa Francesco La Licata) vuole essere il racconto dei «40 anni di abbracci tra politica, affari, mafia e servizi segreti». E per farlo vivere Ciancimino ne parla in televisione da Santoro, ancora ad Annozero, il 13 maggio del 2010. Pochi giorni prima il figlio  di Don Vito era stato oggetto di pesanti minacce. E, in assenza di nuove rivelazioni, bastano quelle per fare audience. Una specialità per Annozero.

venerdì 15 aprile 2011

Deriva del Fli a sinistra, l'ultimatum di Granata: "Urso e Ronchi lascino"

Dopo la querelle sui franci tiratori, il partito di Fini ai ferri corti con l'ala moderata e con l'Udc. Sul tavolo le alleanze per le amministrative. Casini preoccupato: come possiamo appoggiare chi va in piazza col Popolo viola e l'Italia dei Valori?






Prima i sospetti sui franchi tiratori, poi la polemica sulle amministrative e i timori di un continuo spostamento del baricentro verso sinistra. Il giallo sullo scrutinio segreto che sul processo breve ha regalato sei voti in più alla maggioranza, manda in fibrillazione il Terzo Polo e fa perdere le staffe ai vertici di Futuro e Libertà. Fabio Granata non usa mezzi termini e dalle colonne del Fatto lancia un ultimatum ai rivoltosi Adolfo Urso e Andrea Ronchi: "Si guadagnino il consenso interno oppure facciano questa rottura se non vedono l’ora di tornare nel Pdl".
Gli interrogativi sull’identità dei deputati che hanno "tradito" le indicazioni del gruppo parlamentare di riferimento continuano ad alimentare i sospetti. In cima alla classifica degli indiziati ci sono proprio quei deputati moderati di Futuro e Libertà che sono in disaccordo con la linea dura assunta da Gianfranco Fini per assecondare il falco Italo Bocchino. Parlamentari che si ritrovano intorno a Urso e Ronchi e che mercoledì si erano riuniti per decidere la linea da seguire in vista delle amministrative. Linea che, tuttavia, è quella di non fare polemiche proprio per evitare che la responsabilità di un eventuale fallimento del Fli al voto possa essere in qualche modo addossata a loro.
"Tutti quelli che mi conoscono sanno bene che agisco alla luce del sole, con coerenza e trasparenza", ha detto Urso con un marcato tono di irritazione. Sebbene Bocchino ritenga "impossibile" che i franchi tiratori siano nascosti tra le fila dei futuristi, Granata chiede chiarimenti e ua presa di posizione netta e inequivocabile. "Gli incarichi sono provvisori, noi vogliamo essere un partito vero, realmente democratico - spiega Granata al Fatto - quando si faranno tutti i congressi a livello locale starà a loro guadagnarsi il consenso interno oppure si faccia questa rottura se non si vede l’ora di tornare nel Pdl".
Ma il nodo sulle amministrative resta. E' proprio Granata a confermare che nel capoluogo lombardo il Fli non appoggia il sindaco uscente Letizia Moratti, ma punta sul comunista Giuliano Pisapia. Stesso discorso per Napoli. Urso e Ronchi, però, non sono gli unici ad essere preoccupati per questa deriva a sinistra. Anche Pier Ferdinando Casini è seriamente impensierito, tanto da aver voluto incontrare nei giorni scorsi i finiani scontenti. Il leader centrista teme, infatti, che questa deriva a sinistra possa allontanare gli elettori moderati e avere una ricaduta negativa sulle amministrative che rappresentano il primo banco di prova elettorale per il Terzo Polo.
L'Udc vuole che sia direttamente Fini e non solo Bocchino a intervenire per smorzare i toni e ricompattare i suoi. Ma la deriva dei falchi è ormai un dato di fatto. Come potranno i centristi giustificare ai propri elettori il sostegno a candidati sindaco di estrema sinistra? E come potranno spiegare la presenza di esponenti del Terzo Polo in manifestazione con il Popolo viola e l’Italia dei valori?

Bocchino disperato, si offre a tutti.






Signore e signori affrettatevi, ché al supermarket  c’è Italo Bocchino in offerta speciale. Paghi uno e prendi più o meno il due, nel senso della percentuale di consensi che Futuro e Libertà può  racimolare. A conti fatti, l’affare non sembra molto conveniente, ma Italo - il braccio sinistro di  Fini - ormai ha lanciato la promozione: si offre a tutti. 
Ieri si è detto disponibile ad accogliere Montezemolo: «Se scende in campo, lo fa per sparigliare i giochi. Sì, siamo interessati». Poi ha lanciato avances alla sinistra, affermando che a Milano e Napoli, in caso di ballottaggio per le Amministrative, Fli non appoggerà i candidati del PdL.  Quest’ultima esternazione  ha provocato il mal di fegato a un suo collega, l’eurodeputato Potito Salatto, che l’ha definita una «follia politica». Quanto all’altra gamba del terzo polo,  l’Udc, giunge la notizia che alcuni parlamentari futuristi vicini ad Adolfo Urso hanno incontrato Casini nei giorni scorsi, esprimendogli preoccupazione per la «deriva a sinistra» che il gruppo finiano sta prendendo a causa proprio di Bocchino.   Se ne deduce che, per quanto l’offerta  copra tutto l’arco costituzionale, è la domanda a mancare: Italo se lo rimpallano tutti, da Fli all’Udc fino alla sinistra. Ieri il prode finiano si è presentato a Milano per un incontro con Pietrangelo Buttafuoco, Paolo Mieli e Michele Serra, riuniti a discutere di Una storia di destra, cioè il libro dell’esponente futurista. Il quale era così noto al pubblico che ha dovuto scrivere un’autobiografia per spiegare chi fosse.
Più che una presentazione, quella andata in scena al Circolo della stampa sembrava la pubblicità di un detersivo, con la domanda rituale: «Scambierebbe il mio partito  col suo?». Gli acquirenti, di nuovo, non sembravano gradire. Buttafuoco gli ha suggerito di appoggiare il progetto “fasciocomunista” dello scrittore Antonio Pennacchi, che a Latina propone un’alleanza destra-sinistra: se vuole opporsi al Cav, finisce giocoforza dall’altra parte. Ma Bocchino vuole rimanere “di destra”. Certo, a lui più che il fasciocomunismo interessa la fascio-comunella: stiamo vicini a tutti e vediamo chi ci piglia. Di sicuro non l’ ex comunista  Michele Serra, secondo cui Bocchino è senz’altro di destra, dunque tanti saluti.  Incassati due - cortesi - rifiuti, non rimaneva che Mieli. Dal quale però  sono arrivate bastonate. Prima: se Fli cerca consenso tra i progressisti, «finisce nel fosso». Seconda: nel libro di Bocchino si vede un giovane molto attento «all’ascensore sociale», ma con poche  idee politiche. In soldoni, l’ha dipinto come uno interessato soprattutto a far carriera. 
Il detersivo Bocchino non lo compra nessuno. Ma lui continua a propagandare il suo fustino. Anzi, ambisce a produrlo  in  confezione  più grande. Ha infatti lanciato l’idea del Grande Contenitore. Che sia una nuova divinità? («Lode a te, Grande Contenitore!») No, è il  suo piano per  il futuro: il Grande Contenitore che tenga dentro destra, centro, sinistra, chiunque. Obiettivo? Battere Silvio e, possibilmente, far avanzare Italo sul palcoscenico.  Da qualche parte questa trovata  l’abbiamo già sentita... Davvero è nuova? Macché: è lavata con Bocchino.

giovedì 14 aprile 2011

Ora Bersani ammette: "I magistrati invadono il campo della politica"

Il leader del Pd ammette le sue riserve su alcuni giudici nel libro-intervista Per una buona ragione: "Negli anni non sono mancate invasioni di campo anche da parte di alcuni magistrati". Poi la stoccata: "Il governo non rispetta la divisione tra i poteri"





Nascosto tra le pagine di un libro lo ammette anche il leader del Partito Democratico: "Negli anni, non sono mancate invasioni di campo da parte di alcuni magistrati". Quella di Pierluigi Bersani è una piccola rivoluzione, una confessione che nasconde tra una riga e l'altra ma che colpisce nel segno. Poi il leader dell'opposizione recupera i soliti toni, ma l'ammissione è di quelle che lasciano il segno. Le dichiarazioni dell'ex ministro dell'economia sono contenute nel libro intervista da oggi in libreria Per una buona ragione edito da Laterza e curato da Claudio Sardo e Miguel Gotor, di cui diverse anticipazioni sono state pubblicate dal Riformista. Un'apertura alle richieste del Pdl che sicuramente si riverberà sulla vita politica del nostro Paese e che, non a caso, viene diffusa proprio il giorno dopo il voto della Camera sul processo breve. 
L'attacco all'esecutivo "Abbiamo l’esperienza di un Governo che non rispetta la divisione dei poteri e, negli anni, non sono mancate invasioni di campo anche da parte di alcuni magistrati" è questa la bomba che sgancia Bersani.  "Vedo i problemi - ha proseguito il leader dei Democratici -, e mi preoccupano molto. Abbiamo l’esperienza di un governo che non rispetta la divisione dei poteri e, negli anni, non sono mancate invasioni di campo da parte di alcuni magistrati. La torsione plebisicitaria del nostro sistema provoca quindi conflitti crescenti fra legislativo, esecutivo e giudiziari: uno dei primi compiti di ricostruzione della politica è proprio quello di ripristinare l’equilibrio costituzionale fra i poteri".
I magistrati rispettino i confini Apre e mette le mani avanti. Nell’invocare il ritorno al rispetto della divisione dei poteri "non mi sento affatto - ha sottolineato -, un giustuizialista. Anzi: considero il giustizialismo un atteggiamento contrario ai nostri valori. Ma che utilità ha polemizzare in astratto contro il giustizialismo? A volte il dibattito politico sembra solo cercare alibi per giustificare le mancate riforme, portando fieno in cascina ai populismi. La giustizia ha bisogno subito di riforme vere e veri investimenti". "
Il processo lungo Poi torna sulla lentezza dei dibattimenti e butta lì una critica tagliente al sistema giudiziario: "Bisogna ridurre sul serio i tempi dei procedimenti: la giustizia penale e quella civile sono scandalosamente lente. La politica è questo che deve fare. È solo così che può recuperare l’autorevolezze per dire ai magistrati di rispettare con rigore i confini del proprio campo. Se invece si mostrerà ancora una volta incapace, non saranno certo mai le chiacchere a ridurre la supplenza della magistratura, laddove si manifesta". Un Bersani inedito, diverso da quello che parla tutti i giorni dai banchi di Montecitorio. Sicuramente un Bersani che farà discutere.

lunedì 11 aprile 2011

L'Fmi promuove l'Italia e la cura di Tremonti: "Disoccupati sotto la media Ue, conti in regola"

I tecnici di Washington promuovono l'Italia: disoccupazione all’8,6% nel 2011 e all’8,3% nel 2012 a fronte di una media Ue al 9,9%. Bene anche il pil: nel 2011 crescerà dell’1,1%. Ora il Belpaese "è più vicino di altri paesi europei a raggiungere l’obiettivo di un deficit sotto il 3% nel 2013".





Il tasso di disoccupazione è molto elevato e va ridotto anche perché pone sfide economiche e sociali: al mondo ci sono 205 milioni di disoccupati, 30 milioni in più rispetto al 2007. Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) stima per Eurolandia una disoccupazione al 9,9% nel 2011 e al 9,6% nel 2012. L’Italia è sotto la media europea con una disoccupazione all’8,6% nel 2011 e all’8,3% nel 2012. "L’Italia - affermano i tecnici di Washington - è più vicina di altri paesi europei a raggiungere l’obiettivo di un deficit sotto il 3% nel 2013, ma servono ulteriori misure".

La disoccupazione nel mondo.
La disoccupazione pone sfide economiche e sociali, che soo amplificate nelle economie emergenti e in via di sviluppo dagli elevati prezzi alimentari. A incontrare le maggiori difficoltà sono i giovani: in media nei paesi dell’Ocse il tasso di disoccupaizone fra i giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni è due volte e mezzo quello degli altri gruppi. "La disoccupazione fra i giovani aumenta durante le recessioni e in questa occasione l’aumento è stato più che in passato". Secondo il Fmi le tre linee di difesa contro un’elevata disoccupazione sono politiche macroeconomiche di sostegno, il rilancio del settore finanziario e misure specifiche per il mercato del lavoro.
La ripresa procede.
La ripresa economica mondiale procede più o meno come previsto, con il pil mondiale che crescerà nel 2011 del 4,4% e del 4,5% nel 2012. Nel World economic outlook l'Fmi conferma le stime di crescita mondiali di gennaio e sottolinea che "i timori iniziali di una nuova recessione non si sono materializzati". I tecnici di Washington hanno, poi, rialzato il pil italiano crescerà nel 2011 dell’1,1%, ovvero 0,1 punti percentuali in più rispetto alla stima di gennaio. Nel 2012 l’economia italiana crescerà dell’1,3% (stima invariata rispetto a gennaio): "In Italia la ripresa è prevista rimanere debole, con i problemi di competitività che limitano che limitano la crescita dell’export e il risanamento fiscale che pesa sulla domanda privata". Per l'Fmi i rischi al ribasso sull’economia mondiale restano anche se sono diminuiti. Fra questi il possibile aumento dei prezzi del petrolio, lo stato delle finanze pubbliche delle economie avanzate, squilibri nel mercato immobiliare e il surriscaldamento delle economie emergenti.

Il decreto del Vaticano: "E' possibile dedicare le chiese a Wojtyla"

La Santa Sede ha emanato il decreto sul culto a papa Giovanni Paolo II. Sarà celebrata ogni anno il 22 ottobre la memoria liturgica del nuovo beato. E' inclusa la possibilità di dedicazione di una chiesa in onore di Wojtyla.






Sarà celebrata ogni anno il 22 ottobre la memoria liturgica del nuovo beato Giovanni Paolo II. Nel decreto emanato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, il Vaticano ha anche deciso che sarà anche possibile dedicare le chiese a papa Wojtyla.
Il decreto sul culto di papa Wojtyla
Il decreto sul culto a papa Giovanni Paolo II pubblicato oggi dall’Osservatore Romano include la possibilità di "dedicazione di una chiesa a Dio in onore del nuovo Beato". E non ci sarà bisogno per questo di una specifica autorizzazione vaticana se la diocesi interessata avrà già deciso in precedenza di inserire la memoria liturgica del beato, fissata per il 22 ottobre a Roma e in Polonia, nel proprio calendario liturgico. O se lo avrà fatto anche a suo nome la Conferenza Epicopale competente. "La scelta del Beato Giovanni Paolo II come titolare di una chiesa - si legge nel testo redatto dalla Congregazione - prevede l’indulto della Sede Apostolica eccetto quando la sua celebrazione sia già iscritta nel Calendario particolare: in questo caso non è richiesto l’indulto e al beato, nella chiesa in cui è titolare, è riservato il grado di festa".

domenica 10 aprile 2011

COMUNALI, COSENTINO: SANTA MARIA E' PIU'IMPORTANTE DI CASERTA ... E DICE NO AL RICATTO DELL' UDC

Allo start per Simoncelli: Zinzi è presidente della Provincia più azzurra d'Italia grazie a noi, caso unico in Italia. Ora vuol far valere la sua utilità marginale, 5 o 6 per cento.






Tocca a Nicola Cosentino. Rispondere e mettere ordine. Prende la parola al termine della convention del Pdl e del centrodestra sammaritano per presentare la corsa di Federico Simoncelli a sindaco. Deve rispondere alla richiesta di "fare chiarezza, stamattina!" avanzata da Paolo Romano circa l'anomalia Udc, che decide in ogni città della Campania quale coalizione abbracciare e circa la corsa a sindaco 'in solitaria' che Dario Mattucci fa ormai da settimane, essendosi messo di fatto fuori del partito.
E deve mettere ordine tra le varie posizioni espresse sulla questione da Nicola Garofalo, Gennaro Coronella, Pasquale Giuliano.
Pesano, al tavolo, le assenze di Mario Landolfi, Angelo Polverino e Daniela Nugnes: tre ex An che avevano con vigore salutato nella città del Foro la rivolta di Mattucci all'epoca del rimpasto-scandalo di Giancarlo Giudicianni.
Cosentino, a fugare qualche dubbio che ancora si solleva circa il suo impegno per le Comunali nella città di Simoncelli, dice nettamente: "Per noi, Santa Maria vale più di Caserta. Lì abbiamo già governato, abbiamo espresso la nostra capacità di governare, in Comune e in Provincia. Qui mai. Perciò, questa è un'occasione sulla quale dobbiamo lavorare con impegno. Io sono d'accordo sul fatto che il partito non possa esere considerata una caserma e che sia ammesso chi non condivide una posizione. Perciò lavoreremo per far rientrare la frattura, per ricomporre l'unità del partito".

Da dove cominciare, non si sa. Perchè, per il resto, Cosentino spara ad alzo zero.
Sprezzante con l'Udc, pur non nominando mai Domenico Zinzi: "Un partito che fa le bizze, che guida la Provincia più azzurra d'Italia, unico caso in Italia, solo perchè l'anno scorso c'era la concomitanza di Provinciali e Regionali e così il nostro partito decise. Un partito che vale il 5,6,7 per cento ed è arrivato con noi ad ottenere il 63, 64 per cento per la vittoria alla Provincia. Un partito che gioca al ricatto, volendo far valere la sua utilità marginale, come è abitudine dei partiti più piccoli nei confronti di quelli più grandi. Un partito che sceglie ovunque la coalizione che più gli fa comodo, 'paese che vai, partito che trovi'". Parole di fuoco, che a questo punto, per il rapporto da tenere con l'Udc a Santa Maria, lasciano spazio solo alla capacità di mediazione che personalmente Federico Simoncelli metterà in campo con i centristi.
Non meno duro, Cosentino è con 'Forza del Sud' che veste con il simbolo di una lista nata in Italia e in Campania all'ombra e con il favore di Silvio Berlusconi, la corsa a sindaco di Biagio di Muro contrapposta al Pdl.
"E' una nostra costola - dice - è nata per essere un supporto al Pdl, non per navigare contro. E quindi la situazione dovrà cambiare, dovranno capire che non possono tenere il piede in due scarpe".

Nicola Cosentino è molto determinato: la partita di Santa Maria "è più importante di quella di Caserta".

Urso: non sarò mai una icona della sinistra e Fini lo sa

Se la nave cambia rotta...in molti non ci saremo. Rivellini ha lasciato per paura che si appoggi la sinistra e il Pd.






"Se la nave cambia rotta, in molti non ci staremo". Padola di Adolfo Urso, insieme ad Andrea Ronchi leader dell'area moderata (e più insoddisfatta) di Futuro e Libertà, la creatura politica di Gianfranco Fini che continua a perdere pezzi: giovedì ha detto addio al presidente della Camera il coordinatore in Campania del partito, Enzo Rivellini. Urso, intervistato dal Corriere della Sera, invia dei messaggi molto precisi a Gianfranco: il disegno di Fli è quello di "creare una destra riformista europea, parte di un bipolarismo normale, non tribale. E' l'unico progetto di Futuro e Libertà che conosco e sono disposto a realizzare. Fini lo sa, con lui sono stato chiaro".
"MAI UN'ICONA DELLA SINISTRA" - Urso utilizza il termine "tribale", quasi a voler riprendere e rimarcare le accuse mosse giovedì dall'europarlamentare di Fli, Potito Salatto, che imputa a Fini una "gestione padronale" del partito. Urso sottolineao poi il disagio provato nel veder sfilare i suoi tra la bandiere dell'Idv di Di Pietro e quelle di Rifondazione comunista. "I miei colleghi intervenuti sono stati chiamati 'compagno Granata e compagna Perina'. Ecco - pone dei paletti ben precisi - a me non si potrà mai chiedere di diventare un'icona della sinistra".
"SE IL PROBLEMA SONO IO, MI TIRO INDIETRO" - Urso si spende poi in un'analisi sulla collocazione politica del partito di Gianfranco Fini. Sta bene il Terzo Polo, che però è ancora orfano di un coordinatore unico. "Casini aveva proposto il mio nome. Rutelli anche - spiega Urso -. Fini no. Se il problema sono io, mi tiro indietro". Quindi l'onorevole torna ancora sull'affaire Rivellini: "A Napoli c'è il forte sospetto che al secondo turno il nostro candidato appoggerà il centrosinistra. Per questo il coordinatore regionale Rivellini ha lasciato il partito".

Fini: "Collocano Fli a sinistra? Infischiamocene" Ma il Pd strizza l'occhio: "Non sarebbe un reato"

Dal leader del Fli nuove bordate contro il governo: "Non possiamo permettere che le battaglie importanti come quelle per la legalità e il lavoro automaticamente passino come battaglie del centrosinistra perché a destra non si fanno". Poi sul Cav: "Ossessionato da noi".






"Infischiamocene di quelli che dicono che siamo andati a sinistra: non possiamo permettere che le battaglie importanti come quelle per la legalità e il lavoro automaticamente passino come battaglie del centrosinistra perché a destra non si fanno". Al congresso di Generazione Futuro, il leader di Fli Gianfranco Fini torna a tirare bordate contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il governo: "Sono ossessionati da noi". Ma, sotto sotto, l'ipotesi di una alleanza tra futuristi e sinistra non dispiace all'opposizione. Il Pd Giorgio Merlo, crede infatti che una coalizione "non sarebbeun reato".

Le alleanze di Fli Fini ha bacchettato la politica delle "riforme perennemente spostate in avanti". "Da anni - ha dettola Camera - si parla di riduzione delle tasse e poi, improvvisamente si scopre che l’unica cosa che si è ridotta è la categoria di quelli che le tasse le pagano". E ha criticato l’assenza di una politica delle riforme sul lavoro. "Non si è evitato - ha spiegato Fini - che la flessibilità diventasse precarietà di massa. Eppure Berlusconi è stato a Palazzo Chigi otto anni su dieci". Infine con una battuta polemica a chi ha lasciato Fli, Fini ha detto: "Che tristezza i vecchi amici che difendono l’indifendibile. La nostra strada è lunga e faticosa, ma è l’unica percorribile se si vuole difendere il bene più prezioso per l’individuo e la collettività: la dignità".
L'assalto ai transfughi Attacco frontale di Fini a quanti da Futuro e Libertà in pochi mesi sono "rientrati belanti nel gregge per sostenere il governo Berlusconi-Scilipoti come il governo della pace sulla terra", convinto che il futuro del suo partito è nelle mani delle nuove generazioni. "Sapevamo - ha detto Fini - che la nostra strada era in salita e che il nostro era un cammino nel deserto ma qualcuno di noi è voluto tornare belante nel gregge dicendo che il governo Berlusconi-Scilipoti va sostenuto come il governo della Pace sulla Terra". "Tra di noi - ha poi ricordato Fini - c’è qualche collega deputato che ha un perenne mal di pancia e la testa rivolta indietro. Ma il grande merito di voi giovani è quello di aver dimostrato che la poltica è passione e impegno e non lotta per la rielezione in Parlamento". D’altra parte per Fini, "c’è uno spazio politico ed elettorale molto grande per Futuro e Libertà grazie non solo alla passione dei tanti giovani che si stanno avvicinando a Fli ma anche a quel 30-35% degli italiani che non vogliono più andare a votare perché respinti da questa brutta politica. Ed è lì che per noi c’è un enorme spazio".
Il Pd fa l'occhiolino "La mutazione politica di Fini è sotto gli occhi di tutti - interviene Giorgio Merlo del Partito Democratico - dopo 17 anni di totale sodalizio con Berlusconi e le sue politiche si è accorto di avere sbagliato e ora è tra i più scatenati antiberlusconiani. Meglio tardi che mai". "Ma non è peccato né, per il momento, reato, che anche i pentiti della destra ex missina si riconoscano un domani - ha, quindi, osservato l'esponente del piddì - nella prospettiva del centro sinistra. Vale per chiunque. Può valere anche per Fini".

Interviene per difendere il figlio: 4 romeni lo pestano a morte, presi

Tragedia a Torri (Ventimiglia). Richiamato dalle urla del figlio aggredito da un gruppo di romeni, Walter Allavena (un idraulico di 53 anni) è intervenuto per sedare la rissa. I testimoni: "E' stato un pestaggio davvero selvaggio". Sono stati fermati quattro romeni con l'accusa di omicidio preterintenzionale. Interviene per difendere il figlio ventenne e un gruppo di romeni lo pesta con pugni e calci fino a lasciarlo a terra senza vita. La tragedia si è consumata a Torri, a pochi chilometri da Ventimiglia. I testimoni parlano di "un pestaggio selvaggio" accusano i romeni di aver attaccato briga perché ubriachi. Sono stati fermati quattro romeni con l'accusa di omicidio preterintenzionale, il più giovane ha 19 anni.







La ricostruzione dei fatti Secondo la prima ricostruzione, il figlio di Allavena si trovava in compagnia di alcuni amici quando sarebbe iniziata una discussione con un gruppo di romeni che poi si sarebbero allontanati. Poco dopo, però, i giovani stranieri sarebbero tornati indietro e avrebbero rintracciato il figlio di Allavena nelle vicinanze della sua abitazione. Il padre, sentite le grida, sarebbe uscito di casa per sedare la rissa. A quel punto i giovani romeni si sarebbero avventati sull’uomo, colpendolo con calci e pugni, fino a provocarne il decesso. Non è escluso, però, che Allavena sia morto cadendo a terra, a seguito di un colpo alla testa.
I nomi dei romeni fermati Sono quattro i romeni fermati con l’accusa di omicidio preterintenzionale per la morte di Walter. I fermati sono il 32enne Ciprian Marius Meuret, Bordano Andrei Mihut (23 anni), Aredelean Mihai (19 anni) e Sebastian Aureliano Mereut di  37 anni. I quattro sono tutti residenti nella zona di Ventimiglia. Ora, sarà l’esito dell’autopsia, che è stata fissata per domani dal pm Marco Zocco a chiarire le cause del decesso di Walter. "Sono episodi che pensi accadano solo altrove, e invece poi succedono proprio nella tua città - interviene il sindaco di Ventimiglia Gaetano Scullino - Walter era davvero una brava persona sempre disponibile, tranquillo. Impegnato nel sociale e per la sua comunità. Questa è una tragedia, sono vicino alla sua famiglia".
Un pestaggio selvaggio "Sono arrivati in gruppo ieri sera verso le 23,30 mentre eravamo ad una festa di paese. Volevano attaccar briga. Erano ubriachi. Volevano toccare il nostro cane che si è spaventato e per questo uno di noi lo ha preso in braccio. Poi hanno iniziato a picchiarci. Ce l’avevano soprattutto con Claudio, il figlio di Walter". All’uscita dal commissariato a parlare è Luigi, uno degli amici di Claudio: "Il papà è sceso e allora sono andati addosso a lui e lo hanno picchiato". "Ho sentito le urla e mi sono precipitato per vedere cosa fosse successo, ma quando sono arrivato il corpo di mio cognato era già steso a terra": questa è invece la testimonianza di un parente della vittima, Sergio Cortese. "Erano ubriachi e non sono del paese. Ho saputo che già la settimana scorsa dei romeni avrebbero avuto dei battibecchi con mio nipote Claudio e Walter stanotte era intervenuto per portarlo via". Tra le altre voci anche quella di Flavio Dario, intervenuto più volte per cercare di sedare la rissa "ho visto che picchiavano selvaggiamente Walter con calci e pugni. Non si fermavano. Walter è caduto a terra. Ho chiamato il 118 ed ho cercato di rianimarlo seguendo le loro indicazioni, ma non c’è stato niente da fare".

sabato 9 aprile 2011

CASERTA - IL BRANCO ALL'OPERA ALLA FLORA PER POCO NON AMMAZZANO UN MINORENNE PERCHE' AVEVA TENTATO DI DIFENDERE LA SUA FIDANZATINA. TRE IN GALERA. I NOMI








CASERTA – Un branco di ragazzi insospettabili che si avventa contro un minorenne in pieno centro della città, nei pressi dell’ormai defunto gran Caffè Margherita e nei pressi dei giardini pubblici della Flora. Un’aggressione selvaggia e vigliacca, dieci contro uno, causata solo dal fatto che il minorenne aveva risposto per le rime a degli apprezzamenti che qualche componente del “branco” aveva fatto alla fidanzatina con la quale si accompagnava. L’episodio si è verificato sanato scorso, 2 aprile. Ma solo oggi, dopo le accurate indagini, svolte dalla squadra mobile di Caserta, si è arrivati all’identificazione di tre degli aggressori, i quali sono stati arrestati con l’accusa, certo non  da poco, di tentato omicidio. Colpi furiosi, vibrati alla cieca. Calci, pugni di gente assatanata. Il povero ragazzo, P.M, 17 anni, residente a Caserta, ma famiglia originaria di Santa Maria Capua Vetere,  che essendo stato un campione di boxe, si è difeso strenuamente, è stato scaraventato come un fuscello contro un’auto. E giù ancora, altri calci e pugni nella pancia. Con le ultime forze rimastegli, la vittima riusciva a scappare, ma dopo qualche minuto si accasciava. Soccorso da alcuni passanti, veniva condotto nell’ospedale civile di Caserta, dove le sue condizioni apparivano subito gravissime. In pericolo di vita, con un gravissimo trauma facciale e con sospette lesioni interne all’addome, veniva operato immediatamente per l’asportazione della milza. La sua prognosi, a sette giorni dall’aggressione, non è stata ancora sciolta.
Per quest’episodio sono finiti in carcere tre ventenni, due di Recale e uno di Caserta. Si tratta di Andrea Mastroianni, residente a Recale in via Tunisia; di Marco Mazzeo, anche lui residente a Recale, ma in vico Palermo, e di Yari Petrillo, residente a Caserta, in vico Rossini. Naturalmente, proseguono le ricerche degli altri aggressori.
La vittima ha intenzione già da ora di costituirsi parte civile e la sua famiglia ha già dato mandato al otissimo avvocato penalista, Raffaele Gaetano Crisileo di rappresentare gli interessi del ragazzo,. 

"Mi lasci? Metto le tue foto, nuda, su Facebook" E gli scatti di una 12enne fanno il giro di Roma

Lite tra fidanzatini: lei lo lascia, lui si vendica postando online gli scatti sexy fatti a casa quando i genitori non c'erano. Pose da showgirl sulla pagina "Annamaria come mamma l’ha fatta". Le chiacchiere corrono e arrivano anche agli operatori scolastici. Ma è tardi: le foto sono già in giro.

 


 

"Mi lasci? E io metto le tue foto, nuda, su Facebook". Detto fatto. Tanto che in poche ore le immagini della sventurata vengono scaricate dagli amici dei due per diventare il desktop per decine di telefonini. Una storia come tante per il social network più visitato al mondo, se non fosse che i protagonisti sono due ragazzini di 12 e 13 anni che frequentano la stessa scuola pubblica. Manco a dirlo, appena la notizia arriva al personale didattico si scatena una caccia alle immagini hard senza precedenti. Ovviamente per cancellarle e mettere fine alla bagarre.
È accaduto in una scuola media statale sul lago di Bracciano, Roma. Marco e Annamaria, chiamiamoli così, si sono fidanzati all’inizio dell’anno scolastico. Prima media lei, seconda lui. Come da copione: regalino allo scadere del primo mese, bacetti e altri pensierini affettuosi per il giorno di San Valentino. Insomma il tipico amore da adolescenti. Ma con l’inizio della primavera, chissà perché, le cose cambiano. "Marco non è più lo stesso, non mi piace più", confida la dodicenne alle compagne. E allora, come spesso accade, basta una telefonata per farla finita. "Restiamo buoni amici", lo liquida lei. "Ma neanche a parlarne", sentenzia lui meditando subito vendetta.
Quegli scatti fatti a casa di Marco quando la mamma e il papà erano usciti per fare la spesa cadono proprio a fagiolo. Per il 13enne stizzito sono un’occasione unica per svergognare la sua ex. Ha un profilo su fb Marco, nonostante non abbia ancora compiuto 14 anni. Basta una piccola bugia sulla data di nascita, difatti, per iscriversi senza problemi: lo fanno migliaia di ragazzini smaniosi di comunicare, via web, con i loro coetanei. Marco crea un album fotografico a tema: "Annamaria come mamma l’ha fatta". Stesa in pose da sexy diva sul divano, in piedi davanti una finestra, in bagno mentre si rifà il trucco scimmiottando le showgirl viste in televisione. Non ci vuole molto perché la pagina aggiornata venga cliccata dall’intero gruppo di amici: oltre 100 contatti. Tutti, o quasi, compagni di scuola.
I gestori di Facebook non fanno in tempo ad accorgersi di quanto succede che i download impazzano. Tutti rigorosamente finiti dai pc di casa ai telefoni cellulari. Nei giorni scorsi la faccenda diventa il principale argomento all’uscita di scuola o durante la ricreazione. I non iscritti a fb si fanno inviare le foto di Anna sui loro portatili via bluetooth. Le chiacchiere corrono e arrivano anche agli operatori scolastici. Da questi alla direzione didattica il passo è breve. Mentre il dirigente d’istituto contatta le due famiglie, il suo vice si precipita per tutte le classi. "Se avete i telefoni con le foto della vostra compagna, cancellatele immediatamente", ordina. Allertati i responsabili di fb, l’album viene oscurato. E tutto finisce con la classica ramanzina e la minaccia di bocciatura.




venerdì 8 aprile 2011

Ancora guai per la sinistra C’è posta per Nichi e Pd: ecco i pizzini di Tedesco

Il senatore democratico, che rischia il carcere per la sanitopoli pugliese, intervistato dal Corriere lancia accuse e avvertimenti: "Mai avvenuto un arresto in Parlamento, il mio caso sarebbe un precedente che non conviene a nessuno...". E Vendola? "Sapeva tutto"





«Le manette sono più vicine. È andata male», spiega al Corriere della Sera il senatore Alberto Tedesco, subito dopo il voto della giunta di Palazzo Madama che ha dato parere favorevole al suo arresto. E allora il parlamentare pugliese manda un messaggio. Il primo: «Intanto, a parte tre casi, nessuno è davvero mai stato arrestato in Parlamento, e quindi creare un precedente non dovrebbe convenire a nessuno». Testuale. E inquietante. È da almeno un mese che Tedesco, con un piede in cella su richiesta della procura antimafia di Bari, sparge i suoi pizzini in varie direzioni. Ma la gran parte viene recapitata in casa del Pd o direttamente a Nichi Vendola, di cui era potente e chiacchierato assessore alla Sanità. «Mi ascolti - ripete a Fabrizio Roncone del Corriere - erano due le indagini che mi riguardavano. Una, dov’ero coinvolto con il presidente Vendola, s’è conclusa con l’archiviazione, l’altra con la richiesta di custodia cautelare. I fatti sono gli stessi, ma i pm hanno dato due valutazioni diverse... Non è persecuzione questa?».
Una domanda che suona minacciosa per i big della politica con cui il senatore parlava quotidianamente. Nella deposizione davanti al gip di Bari, Tedesco, accusato di concussione, corruzione, turbativa d’asta e falso, parla ancora del suo rapporto con Vendola e lo chiama in causa: il governatore era sempre informato sulle nomine di primari e dirigenti Asl. «Vendola sapeva tutto. Sempre».
Insomma, Tedesco, non ci sta a fare la parte del capro espiatorio, di quello che a sinistra oggi provoca solo mal di pancia, dubbi e distinguo. «Quanto a Nichi Vendola - aveva aggiunto ai primi di marzo conversando con il Tg1 - i miei rapporti si sono interrotti improvvisamente il giorno dopo la rielezione di Vendola a governatore della Puglia, dopo che ho fatto per la seconda volta la campagna elettorale per lui, esprimendomi a suo favore, anche interloquendo direttamente con il Presidente D’Alema che non era convinto di questa candidatura». Tedesco dunque attacca Vendola che ora prende platealmente le distanze dall’ex assessore. E con Vendola, il senatore critica anche il sindaco di Bari, l’ex pm Michele Emiliano: lui e Vendola «sono due facce della stessa medaglia. Ti blandiscono, ti inseguono quando puoi essere utile alla causa e naturalmente poi ti scaricano immediatamente».
Il gioco delle allusioni continua. Intanto, il parlamentare si attrezza per gestire il futuro che si fa oscuro. «Ho il 70 per cento delle possibilità di finire in carcere - è la sua previsione ai microfoni di Un giorno da pecora - mi presenterò io, nella caserma che mi diranno, con un borsone».
Una scena livida, quella che il parlamentare pugliese immagina. Una scena che riporta agli albori di «Mani pulite». Una scena che fa balenare possibili e devastanti contraccolpi. Chissà. Di sicuro non c’è niente, a parte i tormenti del Pd, che non vuole sacrificare un proprio esponente, ma nemmeno vuole accreditarsi come un partito antigiudici, incoerente e ondivago, arroccato sulla tutela di Tedesco quanto e più del criticatissimo Pdl con Berlusconi.
«Finora c’è stato un percorso abbastanza lineare - aggiunge Tedesco - credo che nel giro di una ventina di giorni dovremmo avere il responso definitivo da parte del Senato». L’ultimo messaggio, davvero choc, è sul Cavaliere e fa scricchiolare tante presunte certezze: «Ora - dice ancora al Corriere - capisco Berlusconi». Frase poi puntualmente smentita: «Non l’ho mai detta». Chissà a chi indirizzerà nei prossimi giorni le sue lettere Alberto Tedesco.

Rifiuti a Napoli, i pm: "Bassolino e Iervolino a giudizio per epidemia"

La procura di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio per 20 tra sindaci, commissari prefettizi e pubblici funzionari accusati di epidemia colposa e abuso d’ufficio




Epidemia colposa. La procura di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio per 20 tra sindaci, commissari prefettizi e pubblici funzionari accusati di epidemia colposa e abuso d’ufficio per avere consentito la permanenza di cumuli di rifiuti in strada nel corso dell’emergenza del 2008. Per altri 16 indagati è stato invece disposto lo stralcio che prelude ad una probabile richiesta di archiviazione. Tra le persone per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio ci sono l’ex prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, già commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, l’ex governatore della Campania, Antonio Bassolino, e l’attuale sindaco di Napoli, Rosa Iervolino Russo. Gli indagati la cui posizione è stata stralciata sono quelli che hanno dimostrato di avere preso provvedimenti - come lo spargimento di calce o la creazione di appositi siti di stoccaggio - per evitare che la presenza dei rifiuti in strada causasse malattie ai cittadini. L’udienza preliminare per i 20 di cui la procura ha chiesto il giudizio si svolgerà davanti al gup Raffaele Piccirillo.

La sorpresa dei conti pubblici: ora tutti promuovono l'Italia

Smentiti i catastrofisti, lo Stivale non rischia nessuna crisi. Promozione di Moody's: l’Italia nei prossimi tre-quattro anni "può tornare a generare un surplus primario, il passo è vicino e non ci sono cambiamenti brutali da fare". Istat: aumentano i redditi, ma anche i consumi




Smentiti i catastrofisti e le Cassandre. Lo Stivale è un passo dal baratro economico? Tutte balle. L’Italia nei prossimi tre-quattro anni "può tornare a generare un surplus primario, il passo è vicino e non ci sono cambiamenti brutali da fare" e "il Governo dovrebbe essere in grado almeno di stabilizzare se non ridurre il debito pubblico, anche in uno scenario prudente che ipotizza saldi primari non molto alti (tra l’1 e il 2%) e una crescita economica moderata (al massimo al 3%). È la visione degli analisti di Moody’s sul nostro paese e la spiegazione dell’outlook stabile assegnata al rischio sovrano (rating Aa2) che non vede per l’Italia il rischio di contagio. Dopo i declassamenti di Portogallo (il 5 aprile è stato portato da A3 a Baa1 ed è ancora sotto osservazione con implicazioni negative) e Grecia (il 7 marzo lo ha tagliato da Ba1 a B1 con outlook negativo) ci si chiede se ci sia un rischio di contagio e se l’Italia potrebbe essere coinvolta. "C’è un rischio contagio - spiega Alexander Kockerbeck, l’analista responsabile del rating sull’Italia - quando c’è una storia concreta di rischi che in Italia non c’è".
Positivo anche il giudizio di Standard and Poor's. In un'intervista alla Stampa Moritz Kraemer, responsabile rating sovrani Europa, toglie ogni dubbio. "L'alto livello di risparmio privato e la minore necesità di finanziamento esterno rendono l'Italia meno vulnerabile all'umore dei mercati. E' vero che l'Italia ha grande necessità di rifinanziamento del debito, che è molto elevato, ma la buona notizia è che l'Italia è diversa da Portogallo e Grecia perché le sue finanze sono state controllate meglio". 
Istat: "Aumentano i redditi della famiglie" Nel 2010 il reddito delle famiglie ha registrato un aumento dello 0,9% rispetto al 2009. Un reddito che ha dovuto però far fronte ad una crescita della spesa per consumi "più consistente" rispetto all’anno precedente (+2,5%). Lo rileva l’Istat che spiega così la riduzione della propensione al risparmio degli italiani: si è attestata al 12,1%, registrando una diminuzione di 1,3 punti percentuali rispetto al 2009. Nell’ultimo trimestre dell’anno, invece, la crescita del reddito disponibile rispetto al trimestre precedente (+1,4%) è stata superiore a quella registrata dalla spesa per consumi (+0,8%), il che ha determinato l’aumento congiunturale del tasso di risparmio. 

Guai per Fini in Campania, Rivellini se ne va: Fli? Non c'è democrazia, poi le bandiere rosse...

Continua l'esodo dal partito, se ne va l'europarlamentare campanp Enzo Rivellini: "Fli o per meglio dire l’illusione che questa rappresenta, visto che non è in linea con quanto deciso all’unanimità al congresso". E poi: "Vedere le nostre bandire con quelle comuniste..."





Uno può essere un caso. Due, sfortuna. Ma quando se ne vanno in una dozzina, si parla di esodo. Dopo Moffa, Siliquini, Barbareschi, Pontone ecc ecc. Ormai si fa prima a contare quelli che sono rimasti. Ora se ne va anche Enzo Rivellini, il parlamentare europeo che coordinava Futuro e Libertà in Campania. Un colpo di mano, il commissariamento e Rivellini fa le valige e se ne va. Troppo dura la convivenza con il padre-padrone Italo Bocchino e poi - commenta l'europarlamentare - "vedere le bandiere di Fli insieme a quelle con la falce e il martello...". 
"Dopo la riunione all’hotel Ramada con alcune centinaia di amici, dopo aver ascoltato le dichiarazioni di Italo Bocchino a Radio 24 e dopo un colloquio telefonico con Gianfranco Fini, abbiamo deciso di togliere dall’imbarazzo gli stessi Fini e Bocchino, visto il loro assordante silenzio sulle questioni poste in questi giorni dal nostro territorio. Lasciamo Fli o per meglio dire l’illusione che questa rappresenta, visto che non è in linea con quanto deciso all’unanimità al congresso di Milano da tutti i militanti presenti". Va giù duro Rivellini in un comunicato in cui ricorda di essere stato eletto nella circoscrizione Italia Meridionale con circa 110mila preferenze di cui 85mila circa in Campania.

"Resta il dato - aggiunge -, che non sono state affrontate le questioni evidenziate in questi giorni, come il fatto che i vertici del partito negano la democrazia partecipata ed, al contrario di quanto affermano in pubblico, trovano scandalose le posizioni di chi vuol ancorare il partito al centrodestra, per poi trovare naturale che massimi dirigenti sfilino sotto le bandiere rosse della sinistra radicale". 

giovedì 7 aprile 2011

Litizzetto: I profughi? Li aiutino i Vescovi e la Chiesa.

Luciana se la prende con la Chiesa e con i cattolici che spendono la vita per i meno fortunati.








I cattolici sono indignati con Rai 3.
Si sentono bersagliati ingiustamente e si sono stancati di subire in silenzio. Prendo a simbolo un giovane prete, che chiamerò don Gianni, un bravissimo sacerdote che - fra le altre cose, insieme ad altri - si fa in quattro e dà letteralmente la vita, per aiutare immigrati, emarginati, “barboni” e tossicodipendenti.
L’ultimo episodio che ha fatto indignare lui e molti altri come lui, è stata l’incredibile invettiva contro la Chiesa fatta da Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”, domenica sera. 
Ebbene domenica, parlando di Lampedusa, a un certo punto - senza che c’entrasse nulla - la Luciana si è lanciata in un attacco congestionato contro la Chiesa, a proposito dell’arrivo dei clandestini tunisini, e ha urlato ai vescovi «dicano qualcosa su questa questione». I vescovi, a suo parere, stanno sempre a rompere «e adesso stanno zitti… fate qualcosa! Cosa fanno?».
La Chiesa non ha taciuto affatto e che proprio la scorsa settimana il segretario generale della Cei, monsignor Crociata ha convocato una conferenza stampa per informare che 93 diocesi hanno messo a disposizione strutture capaci di ospitare 2500 immigrati, caricando sulla Chiesa tutte le spese.
Ma questa risposta di “Avvenire” è uscita in ultima pagina, sussurrata e con un tono benevolo, sotto il titolo: “Chissà se Lucianina chiede scusa”.
Fatto sta che attacchi come quelli della Littizzetto sono stati visti e ascoltati da milioni di telespettatori e ben pochi avranno letto la documentata risposta di “Avvenire”. Forse si può e si deve rispondere anche più energicamente. C’è chi vorrebbe pretendere le scuse del direttore di Rai 3 e soprattutto il diritto di replica.  In nome dei tantissimi sacerdoti, suore e cattolici laici che in questo Paese da sempre, 24 ore al giorno, sputano sangue per servire i più poveri ed emarginati e che poi si vedono le Littizzetto e tutta la congrega di intellettualini e giornalisti dei salotti progressisti che, dagli schermi tv, impartiscono loro lezioni di solidarietà.
Sì, perché la Littizzetto non si è limitata a questo assurdo attacco (condito di battute sul cardinal Ruini). Poi, fra il dileggio e il rimprovero morale, si è addirittura impancata a seria maestra di teologia e ha preteso persino di evocare il “discorso della montagna” - citato del tutto a sproposito - per strillare ai vescovi e alla Chiesa: «ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, avevo sete e mi avete dato da bere... Il discorso della montagna lì non vale perché sono al mare?».
E poi, sempre urlando, ha tuonato: «c’è la crisi delle vocazioni, ci sono seminari e conventi vuoti: fate posto e metteteli lì, che secondo me poi sono tutti contenti». 
Non sarebbe neanche il caso di segnalare che l’ignoranza della Littizzetto è pari alla sua arroganza, perché il “discorso della montagna” sta al capitolo 5 del Vangelo di Matteo, mentre i versetti citati da lei - che non c’entrano niente - stanno addirittura al capitolo 25 (quelli sul giudizio finale che non piacerebbero proprio alla comica di Rai 3). Non sarebbe il caso di sottolineare la gaffe se la brutta sinistra che ci ritroviamo in Italia non avesse elevato comici come lei al rango di intellettuali e addirittura di maestri di etica e di civiltà.
Visto che sia la Littizzetto che Fazio - il quale ha assistito a questa filippica sugli immigrati senza obiettare, facendo ancora la spalla - mi risulta siano ben retribuiti e non vivano affatto nell’indigenza, vorrei sapere, da loro due, di quanti immigrati si fanno personalmente carico. Quanti ne ospitano a casa loro? Quanto danno o sono disposti a dare, dei loro redditi, per accogliere e spesare tunisini, libici e altri clandestini? Considerata l’invettiva della Littizzetto e il suo pretendere che altri (la Chiesa) ospitino gli immigrati a casa loro, non posso credere che lei per prima non faccia altrettanto. Sarebbe veramente una spudoratezza inaccettabile. Vorrebbe allora - gentile signora Luciana - mostrarci la sua bella casa piena di tunisini che lei avrà sicuramente ospitato?
La Chiesa non ha certo bisogno delle lezioni di “Che tempo che fa” per spalancare le sue braccia a chi non ha niente. Lo fa da duemila anni. E dà pure per scontato che il mondo non se ne accorga e neanche la ringrazi. Ma che addirittura debba essere bersagliata dalle lezioncine è inaccettabile, soprattutto poi se a farle fossero persone che non muovono dito per i più poveri.
Intellettuali, comici e giornalisti dei salotti progressisti che spesso schifano l’italiano medio (e anzitutto i cattolici), che stanno sempre sul pulpito, col ditino alzato, a impartire lezioni di morale, di solito non vivono nell’indigenza. Molti di loro trascorrono le giornate fra gli agi, in belle case e al riparo di cospicui conti in banca. Qualcuno - come si è saputo di recente - si avventura pure in investimenti sbagliati.
Prima di impancarsi a maestri e censori degli altri, non sarebbe il caso che anzitutto testimoniassero ciò che fanno loro personalmente?Noi cattolici educhiamo i nostri figli alla carità come dimensione vera della vita. Mio figlio di 14 anni trascorre il sabato mattina con altri coetanei, insieme a don Andrea, a portare generi alimentari a barboni e famiglie indigenti. E a far loro compagnia. Don Andrea educa i suoi ragazzi portandoli anche con le suore di Madre Teresa che vanno a cercare i clochard, se ne prendono cura, li lavano, li medicano, li rifocillano.
Io non ho mai visto un solo intellettuale di sinistra lavare un barbone. Invece i preti, le suore e i cattolici che lo fanno sono tantissimi. Sono persone che fin da giovani hanno deciso di donare totalmente la loro vita, per amore di Gesù Cristo. Hanno rinunciato a una propria famiglia, vivono nella povertà (i preti, titolati con studi ben superiori alla media, vivono con 800 euro al mese) e servono l’umanità per portare a tutti la carezza del Nazareno.
La Chiesa sono questi uomini e queste donne.
È di questi che straparlano spesso certi intellettuali da salotto. Non so se sono ancora in grado di provare un po’ di vergogna. Ma so che questa sinistra intellettuale (quella - per capirci - che se la prende con i crocifissi e che sta sempre contro la Chiesa) fa davvero pena, fa tristezza. Certamente è quanto ci sia di più lontano dai cristiani.

Trattativa Stato-mafia Castelli: "Io dissi no, ma la sinistra nel '94..."

Nel 2003-04, quando si trovava al vertice del ministero di Giustizia Castelli rifiutò una sorta di trattativa con esponenti mafiosi che promettevano una pubblica dichiarazione di dissociazione in cambio di contropartite






Nel 2003-2004, quando si trovava al vertice del ministero di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli rifiutò una sorta di trattativa con esponenti mafiosi che promettevano una pubblica dichiarazione di dissociazione in cambio di alcune contropartite. L’allora ministro disse di no "da solo", ma non in assoluta solitudine perché "vi era l’accordo con importantissimi magistrati dell’epoca". Castelli ha fatto quella che definito una "rivelazione" nel corso di una conferenza stampa organizzata dal Pdl per denunciare l’atteggiamento "disponibile" del centrosinistra rispetto alla revoca del 41 bis tra il 1992e il 1993.
Le trattative tra Stato e mafia La ferita è ancora aperta. Il buco nero nella storia del nostro Paese pure. Ancora oggi un silenzio assordante sigilla il cratere aperto nel novembre del 1993 dall’allora Guardasigilli Giovanni Conso: incredibilmente il ministro della giustizia non prorogò il 41 bis per circa trecento mafiosi. Un gesto inspiegabile in un momento drammatico di lotta a Cosa nostra, in piena emergenza, e dopo i mesi terribili delle bombe ai monumenti. Lo Stato si piegò davanti alle mani insanguinate dei boss. Interrogati su questi fatti gli ex capi di Stato Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi non ricordano nulla. Contro questo inaudito silenzio si è gettato l'ex ministro leghista. Castelli chiarisce che la decisione di rispedire al mittente le avances fatte da "boss di prima grandezza" venne presa senza che si consultasse con alcun componente del governo. "Il 41bis, che io ho stabilizzato, è un regime veramente duro e i mafiosi lo temono - spiega l'ex titolare del dicastero di via Arenula - ci giunse la proposta di una pubblica scelta di dissociazione. Si sarebbero arresi allo Stato a patto di avere una contropartita". L'esponente del Carroccio ci tiene a sottolineare che "fu una decisione presa in piena coscienza e in accodo con importantissimi magistrati". "Io ma non solo io abbiamo ritenuto che con la mafia non si può intavolare alcuna trattativa - continua l'ex ministro di Giustizia - misi, quindi, sul piatto della bilancia questa offerta e il fatto che si dovesse trattare e decisi per il no". L'allora Guardasigilli non voleva "assolutamente" che "si potesse pensare che lo Stato avesse intavolato trattativa". E chiarisce: "Io in quegli anni ho preso importanti decisioni in assoluta solitudine.  

mercoledì 6 aprile 2011

Il "furbetto" De Magistris usa lo scudo per dribblare nuovamente il processo.

Dopo il caso Mastella, l'europarlamentare paladino del giustizialismo chiede ancora l'immunità.



La corsa elettorale 2011 per il Comune di Napoli è una delle più dure di sempre, lo si sapeva. Fine del bassolinismo, coalizioni frantumate, partiti liquefatti: molti segnali lo lasciavano intuire. E, a 39 giorni dall’apertura dei seggi elettorali, le danze si sono aperte.
Luigi De Magistris, già magistrato e ora europarlamentare dell’Italia dei Valori, corre alla poltrona di sindaco di Napoli per il partito di Di Pietro. Due giorni fa De Magistris non si è presentato davanti al giudice Renata Palmieri dell’ottava sezione civile del tribunale di Napoli. L’ex pm avrebbe dovuto comparire in aula in quanto denunciato per diffamazione. Ma il suo avvocato difensore ha reso noto che De Magistris ha presentato richiesta di immunità al presidente del Parlamento europeo. Il giudice Palmieri, preso atto dell’istanza, ha sospeso la seduta rinviandola al 20 febbraio 2012.
La vicenda che ha portato De Magistris ad essere querelato nasce nel 2010. Il 3 giugno dello scorso anno l’ex pm rilascia all’Ansa la seguente dichiarazione: «Bagnoli è una pagina vergognosa di commistione tra politica e crimine attorno al denaro pubblico». Il 14 giugno il cda della Bagnolifutura (società a partecipazione pubblica che si occupa del riassetto urbanistico dell’area ex Italsider a Bagnoli, zona ovest di Napoli) conferisce al presidente e al direttore generale mandato di querelare De Magistris per diffamazione. L’iter arriva alla prima udienza del processo. Ma l’ex pm decide di avvalersi dell’immunità parlamentare (è stato eletto a Bruxelles nel 2009; la scadenza naturale del mandato è nel 2014).
Clemente Mastella, candidato sindaco dell’Udeur, ha così commentato la vicenda: «È la seconda volta che De Magistris utilizza l’immunità parlamentare, sperando che nessuno se ne accorga. Lo ha già fatto per sfuggire ad una mia querela e continuerà a farlo. Noi continueremo a denunciare questa sua doppia morale». De Magistris, accusando nella querela un tentativo di intimidazione contro di lui, ha così commentato: «Ribadisco quanto ho sempre sostenuto sul comportamento della società in questione (Bagnolifutura, ndr) e non cesserò di denunciare la malapolitica, gli intrecci finanziari con le amministrazioni pubbliche, lo sperpero di denaro pubblico».
La Bagnolifutura è uno dei cardini del dominio del Pd e del centrosinistra a Napoli; perciò è prevedibile che tra democratici e Idv voleranno sempre più botte da orbi. Anzi, mazzate e’ morte! Se Atene piange, Sparta non ride. Infatti sul fronte del centrodestra non berlusconiano c’è agitazione. Stamattina a Napoli una conferenza stampa di Enzo Rivellini, coordinatore campano di Fli, non lascia presagire rose e fiori per Italo Bocchino, vicepresidente nazionale dei futuristi.

Telefonate del premier, Violante: "Non dovevano finire agli atti"

L’ex presidente della Camera sul processo Ruby: "Le conversazioni del premier non dovevano finire agli atti, tantomeno sui giornali. Ora serve una riforma". La denuncia sulle intercettazioni al premier: "Che cosa è successo? Errore, dimenticanza o intenzione? Non possiamo dare un giudizio finché non avremo le risposte"




Roma - «Mi sembra pacifico che le intercettazioni delle telefonate di Silvio Berlusconi nel caso Ruby non dovevano essere messe agli atti dalla Procura di Milano. Ora si tratta di vedere come e perché questo è accaduto». Luciano Violante è categorico sulla premessa, ma cauto sulle conseguenze del fatto.
Quanto è successo getta ombre sull’intera inchiesta?
«Bisogna vedere a che cosa porterà l’accertamento già annunciato dal Procuratore Bruti Liberati. Quelle tre conversazioni nel fascicolo non dovevano esserci. Infatti, si sa che centinaia di altre in cui parlava il premier sono state cancellate dalla stessa Procura. Ma ancora non conosciamo il motivo per cui in questi casi le cose siano andate diversamente. Che cosa è successo: errore, dimenticanza, intenzione? Non possiamo dare un giudizio finché non avremo queste risposte».
Ma comunque è stato fatto qualcosa di illegale se le intercettazioni indirette di un parlamentare, secondo la legge Boato, non possono essere utilizzate né trascritte senza il via libera delle Camere.
«Ripeto: tutto dipende da che cosa è successo in questo caso. È diverso se si tratta dell’errore o di una dimenticanza di un cancelliere o di un poliziotto che ha inserito quello che non doveva in una mole di documenti, o se un pm non ha fatto fino in fondo il suo dovere. Comunque, la fuga di notizie è da contrastare e, a mio avviso, occorre una riforma: il giudice competente dev’essere non quello dell’ufficio giudiziario dove è avvenuta, ma il tribunale di una diversa Corte d’appello».
Ascoltare le conversazioni di terze persone che parlano con un parlamentare non è un modo di aggirare il divieto?
«Ma se un deputato parla con un capomafia non posso certo censurare l’ascolto».
Qui non c’erano reati così gravi di mezzo.
«La concussione è grave, come anche la prostituzione minorile: è impossibile che per questo tipo di reati possano essere vietate le intercettazioni».
Una volta finiti gli atti di un’inchiesta sui giornali, ormai il danno è fatto. Alla faccia della conclusione del processo.
«E questo, purtroppo, succede ogni giorno. Il peggior giornalista è quello che non pubblica le notizie che ha, ma il dilagare del “giornalismo di trascrizione”, che riempie intere pagine di notizie processuali, intercettazioni, gossip giudiziari, umilia la democrazia».
Come si contrasta questo?
«È necessario trovare una volta per tutte il punto di equilibrio tra quattro diritti: quello del giornalista ad informare, quello del cittadino ad essere informato, quello dei destinatari delle indagini alla riservatezza e quello della giustizia all’efficacia e credibilità delle indagini. Nel processo Ruby, in particolare, ho molto apprezzato il divieto di far entrare in aula telecamere e fotografi: l’aspetto spettacolare è negativo».
Devono essere soprattutto i mass media a porsi dei limiti e non piuttosto i magistrati?
«Se un magistrato o un altro funzionario pubblico viola il dovere di riservatezza, le punizioni sono previste. Qualche volta le notizie sono date direttamente dalla ditta che intercetta prima ancora che arrivino alla Procura. È poi necessaria un’autodisciplina da parte dei giornalisti, che impedisca la pubblicazione di atti come questi. Come si fa per le immagini e il nome dei minori e delle ragazze vittime di violenza sessuale. Un giornalismo che si nutre di pettegolezzi giudiziari perde credibilità, è tipico di Paesi senza un forte senso dello Stato».
Fuga di notizie a parte, non c’è in Italia un uso abnorme delle intercettazioni?
«Siamo al di sotto di molti altri Stati. Da noi tutte le autorizzazioni passano attraverso la magistratura, in altri basta il via libera della polizia o di altri organismi. Negli Stati Uniti, ad esempio, le intercettazioni sono un numero enorme. Ma da noi sui dati c’è molta confusione, anche tra numero di persone e di telefoni intercettati, perché ogni soggetto il più delle volte ha diversi recapiti, naturalmente. E poi, la maggioranza delle intercettazioni viene fatta in città come Palermo, Catania, Reggio Calabria, Napoli e Milano, dove è più forte la densità della criminalità organizzata».
Insomma, lei ha trovato grave o no avere la prova dai giornali che il premier è stato intercettato?
«Se vuole da me un giudizio di colpevolezza verso i pm, senza conoscere i fatti, non lo avrà. Dobbiamo prima capire come mai quegli atti sono finiti nel fascicolo. Fino ad allora non sarebbe onesto pronunciarsi».

martedì 5 aprile 2011

Fondi esteri Ds, il "nuovo Greganti" Agiva per coprire i vertici del partito

Dalle carte sull'Oak Fund, il dossier realizzato da Tavaroli sugli affari esteri della Quercia, emerge il ruolo centrale di Roberto Perini nei presunti affari dei Democratici di sinistra. "I vertici si affidavano a lui per gestire le finanze", come il "compagno G" (Primo Greganti) durante Mani pulite




Corso di Porta Roma­na, un bel palazzo signorile. Il nome «Perini» è sul citofo­no. Schiacciando il pulsante, si entra in comunicazione con una gentile voce di donna che dice «mio marito è già uscito» e «non abbiamo niente da dire ai giornalisti». Chissà cosa sarebbe succes­so se invece dei giornalisti del Giornale fossero venuti i pub­b­lici ministeri dell’affaire Tele­com o i loro carabinieri, a suo­nare questo citofono. Perché qui, a poche centinaia di metri dal palazzo di giustizia, appro­da la lunga pista che - rimbal­zando tra paradisi caraibici, società off-shore conti cifrati ­collega il dossier sull’«Oak Fund», il fondo della Quercia, ai presunti affari dei Democra­tici di sinistra.
Il nome del signor Perini ­per esteso, Roberto Perini, na­to a Rovereto nel 1952- compa­r­e nel dossier che l’investigato­re privato Emanuele Cipriani ha realizzato su incarico di Giuliano Tavaroli, allora capo della Security di Telecom, per appurare chi ci fosse dietro il misterioso Oak Fund, il fondo cifrato delle Isole Cayman su cui approdarono una parte dei soldi pagati dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera per comprare il colosso telefoni­co. Nel dossier, sul quale dopo cinque anni è stato alzato la settimana scorsa il velo del se­greto, compaiono carte raccol­te da Cipriani che indicano in Massimo D’Alema e nei Ds i re­ferenti del fondo. Vero o falso? Impossibile saperlo, perché la Procura milanese - la stessa Procura che utilizza come spunti investigativi anche le lettera anonime- su quelle car­te non ha mai indagato.
Di certo c’è che il lavoro del­la Polis d’Istinto, l’agenzia in­vestigativa di Cipriani, appare ampio e dettagliato. Viene ri­costruita passo per passo la ca­tena di controllo del fondo. Vengono riportati gli atti inter­ni che raccomandano di non indicare Massimo D’Alema (« It would be better to avoid showing mr. Massimo D’Ale­ma as rapresent Il Partito del D.S. as this could cause all sort of complication ») tra i referen­ti del conto. Ed è in quello stes­so appunto che compare per la prima volta il nome di Peri­ni: « As you know, we presently show mr. Roberto Perini ». Da quel momento, la Polis d’Istinto ha iniziato a scavare sulla figura di questo trentino di mezza età. Il risultato finale è una definizione: «Perini è co­me Greganti». Ovvero il leg­gendario «compagno G» che negli anni Novanta gestì per conto del Pci i rapporti con l’Enimont di Gardini,e non so­lo quelli. Nel «summary» nu­mero 7 inviato nel 2002 da Ci­priani a Giuliano Tavaroli, c’è un intero appunto su Perini, steso con un linguaggio vaga­mente da questurini. Si parla di «condotta limpida», di «per­sona che nel suo ambiente go­de di una grande stima» che «sin da giovane ha abbraccia­to l’ideologia di sinistra e le te­matiche ambientaliste».
Ecco l’integrale: «Sin da giovane ha sempre seguito con molta at­tenzione la nostra vita sociale e politica abbracciando un’ideologia democratica di sinistra (...) In questo caso la sua coerenza lo ha portato a ot­tenere la fiducia da parte di quei personaggi che nel tem­po lo hanno seguito e fatto ma­turare politicamente, conqui­standosi la più ampia fiducia in seno al nostro diesse. La sua vivacità sociale viene evinta anche dal fatto che ha seguito (sino a sei/sette anni fa) con estrema attenzione anche il problema ambientale, (in par­ticolare le discariche). Il sud­detto è stato definito: 1) «un uo­mo di assoluta fiducia». 2) «Persona delegata a rappre­sentarli ». 3) «Uomo che colla­bora in affari/circostanza/ eventi dove i vertici di partito, o parte di esso, non possono apparire o risultare ufficial­mente. Possiamo dunque af­fermare, secondo corrente pensiero, che là dove un parti­to dem­ocratico grande e istitu­zionalizzato, da sempre capa­ce di portare nel nostro paese vivacità democratica, vivacità finanziaria e sociale, deleghe­rebbe o delega in particolare modo per la parte finanziaria, il signor Perini come di fatto lo è. Nella concretezza, nel­l’esempio di P.R. (Perini Ro­berto, ndr ) viene definito co­me il G. (Primo Greganti) del nuovo millennio». Potrebbero essere chiac­chiere in libertà, se non andas­sero a collimare con le altre, vi­stose tracce che chiamano in causa i Ds nella vicenda, come i 10 milioni e 785 mila dollari che approdano su un conto della Banca Antonveneta, e che un appunto contenuto nel dossier collega al «noto parti­to ». Certo, tutto sarebbe stato più chiaro se i pm fossero an­dati da Perini a chiedergli: è ve­ro che lei è il referente dell’Oak Fund, è vero che si appoggia al­lo studio del notaio Lucio Ve­lo, è vero che conosce il signor James Manders che alla ban­ca Bear Sterns di Londra gesti­sce il conto 1020733828 inte­stato a Oak Fund? E quali sono i suoi rapporti con i Ds? Tutte domande che la Procura mila­nese non ha mai fatto.