mercoledì 30 marzo 2011

Piano Casa: un enigma pericoloso per i Casapullesi storici.


 Intervento in Consiglio Comunale, allegato alla proposta di delibera:
"Legge Regionale n. 1 del 5 Gennaio 2011 "Modifiche alla Legge Regionale n.19 del 28 dicembre 2009 `Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa" e alla Legge Regionale 22  dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del Territorio)".


Circa un anno fa, si discuteva in Consiglio comunale, l’approvazione della delibera per l’individuazione delle aree da destinare agli interventi del Piano Casa. Come allora anche oggi, i cittadini che potevano essere interessati a tale iniziativa, non furono informati della possibilità che si stava consumando, tenendoli così al buio di tutto. Queste importanti  informazioni, vennero tenute nascoste e ben chiuse nei cassetti del comune, ma non fu così per tutti. Infatti, i bene informati, si precipitarono a chiedere al comune di inserire nell’elenco i propri i terreni che potevano essere individuati.
L’interesse era altissimo, viste le enormi speculazioni edilizie che si potevano realizzare su dei terreni a prevalenza agricola, che diversamente non avrebbero potuto godere di tanto benessere se non con una nuova programmazione urbanistica. I nomi, che fecero domanda, risultarono essere sempre gli stessi, imprenditori  importanti, parenti di amministratori,  grossi e importanti elettori della maggioranza e amici di amici. Ricordo ancora, come si svolse il Consiglio, con un perfetto mutismo che celava gli interessi in campo e la consapevolezza che si stava facendo il colpaccio.
Ebbene, in quella sera, di un anno fa, si stava dando vita alla più grossa speculazione edilizia della storia della ns. cittadina. Un mio deciso e preciso intervento risvegliò quel poco che era rimasto delle coscienze di molti consiglieri, ma il grande capo fece sentire la sua voce e passarono sopra anche a delle precise prescrizioni della stessa legge, che avrebbe così permesso la costruzione di migliaia di alloggi nella nostra città, in zone agricole o similari sparse a macchia di leopardo.
Quella sera, in particolare evidenziai  quattro aspetti fondamentali per l’assetto urbanistico futuro della nostra cittadina.
1)   Per quello che riguardava l' "Ambito 1" , ai sensi della L.R. 18.05.89 n. 183, non potevano essere inserite zone interessate da  vincoli idrogeologici e, pertanto, non poteva essere individuata la stessa per le finalità di cui alla L. R. ;
2)   Che già la legge Regionale riconoscendo già la possibilità di sfruttare i sottotetti (quindi già il 10-15%  della cubatura esistente a disposizione) questo avrebbe provocato uno squilibrio nelle programmazioni  urbanistiche future;
3)   Vista l’individuazione degli Ambiti che risultavano a macchia di leopardo, alcuni di essi  erano lontani dal centro abitato o non serviti dai benché minimi servizi, allora come oggi, invitavo e invito l’amministrazione ad evitare la monetizzazione a chi costruirà in quei spazi, ma chiedevo e chiedo di obbligare, questi ultimi, a realizzare le opere di urbanizzazione e  le infrastrutture necessarie;
4)   Che, qualora nelle zone individuate venissero realizzati gli interventi previsti, questo graverebbe sulle future zone C e quindi futuro P.U.C..
Le tavole con i terreni evidenziati, furono approvate e con esse  presero e prenderanno forma, le mega speculazioni che faranno diventare questo cittadina un dormitorio senza alcuna prospettiva di sviluppo economico e sociale. L’edificazione dei complessi da realizzare, saranno paragonabili a veri e propri alveari e serviranno solo ad investire capitali di dubbia provenienza e a permettere l’ulteriore scempio di un territorio che è già stato abbondantemente dilaniato dagli speculatori nel passato recente. Questi nuovi insediamenti abitativi, porteranno un notevole impatto disastroso al nostro territorio, con decine e decine di appartamenti che si troveranno in zone dove le opere di urbanizzazioni non esistono, procurando così dei danni irreparabili al territorio. Come allora come stasera, si darà il via ad una corsa sfrenata all’acquisto di quei terreni individuati e alla procedura che porterà alla fase definitiva della costruzione degli alloggi.


La cosa più devastante e importante per la cittadinanza è che questi insediamenti assorbiranno notevolmente le cubature rimaste ancora  a disposizione del territorio, togliendo così la possibilità a chi vuole costruire la casa per il proprio figlio o per se stesso. Oggi, come chiarito da più parti, il carico urbanistico delle zone ERS andrà a pregiudicare per sempre l'attuazione del P.U.C. Chi subirà questo enorme torto,  saranno i Casapullesi storici, quelli che per anni hanno sperato di poter realizzare i propri sogni o quelli dei propri figli e che con queste delibera la vedranno sfumare. Davanti a questo scenario aberrante ed alla palese volontà del Sindaco di proseguire comunque e ad ogni costo alla realizzazione delle ERS , io dico chiaramente NO. La priorità è e rimane il PUC, convinti come sono che gli interessi di pochi non possono perpetuarsi in danno di un'intera collettività.
Personalmente farò appello alle Associazioni, a tutti i  Partiti (quelli che ancora esistono), alle parrocchie e a tutti coloro che hanno a cuore il futuro Casapulla,  di fare sentire la propria voce al fine di evitare un disastro enorme, dal quale la nostra comunità non potrà mai più risollevarsi.

Peppe Piantieri
      Consiglieri Comunale


Scoperta della Guzzanti: Repubblica sparge fango Volano insulti con Mauro

Lite tra i paladini della sinistra. Repubblica pubblica i commenti poco benevoli apparsi sul sito dell’attrice. E lei: "Scrivete solo c...". Sabina se la prende anche coi fan: "Frustratoni rancorosi"






Truffata e mazziata, e dalla stampa amica poi. E lei che fa? Una lettera virulenta al «gentile direttore ezio mauro» (tutto minuscolo), condita con parolacce e minacce stile rissa da bar. Quel che ha fatto veramente imbestialire Sabina Guzzanti sono stati gli articoli di Repubblica sulla truffa in cui è finita pure lei (una società prometteva di far fruttare il gruzzolo di parecchi vip romani) ma soprattutto un pezzo pubblicato su Repubblica.it (peraltro, copia-incollato dall’agenzia Omniroma) in cui si dava conto di certi commenti apparsi sul sito della Guzzanti, rimproverata (ma solo da alcuni) di aver cercato un guadagno facile con i trucchi della finanza. La reazione dell’attrice è stata feroce. «Il tuo giornale on line - scrive la Guzzanti al direttore di Repubblica - dopo aver scritto una serie di cazzate infondate insieme al cartaceo su una delle tante truffe che colpiscono i consumatori, ha pensato bene di insistere sul mio caso ancora dopo 4 giorni». L’autrice di Draquila, qui più anti-Repubblica che anti-Cav, è furibonda non solo con i giornalisti del quotidiano ma anche con quegli utenti che hanno postato sul suo sito sabinaguzzanti.it dei commenti secondo lei infami (tipo questo: «Senza cattiveria, ma ti sta bene. Non è vergogna avere soldi se li hai guadagnati onestamente come sicuramente hai fatto tu. Ma se uno ha un po’ di soldi da parte per me non deve usarli per farne altri senza che il lavori ci guadagni»). Queste persone sono «poco strutturate» scrive la Guzzanti, cioè degli ignoranti, poco dopo definiti «svitatelli», quindi «esaltati che non hanno capito una cippa» («e come potevano capire? non certo leggendo il giornale» di Mauro), anche definibili «frustratoni». Una massa di dementi che però nulla avrebbe eccepito se non fosse stato per le «false informazioni da voi (di Repubblica, ndr) diffuse» sulle 700 vittime di «speculatori senza scrupoli, che hanno rubato i risparmi a un sacco di gente. Tra questi magari qualcuno anche ricco, ma i più invece poveri cristi che guadagnano senz’altro meno di te» Ezio Mauro.
Una «campagna di disinformazione» da parte di Repubblica, dice la grande imitatrice, che con quell’«articolo strumentale» ha scatenato una ridda di pazzi, sicuramente berlusconiani, che «si sentono in diritto, sulla base del nulla, di mettere bocca e giudicare scelte che non conoscono, sparare giudizi e ricamarci sopra. E sprecano tempo a discutere di cifre e percentuali che avete (voi di Repubblica, ndr) sparato a vanvera». Ognuno apre bocca in libertà, «proprio come quelli che scrivono per te» Ezio Mauro.
Nella teoria del complotto c’è sempre un motivo arcano per tutto, anche per un semplice pezzo on line sulla Guzzanti e i commenti del suo sito. E allora a cosa deve, la Guzzanti, «tanta scorrettezza? tanta ingiustizia? tanta vigliaccheria? tanta spudoratezza?». Insomma perché Ezio Mauro e Repubblica vogliono colpirla in modo così codardo, da vera macchina del fango? «Ha a che fare col fatto che ho pubblicato le proteste di giornalisti giapponesi che replicavano all’imprecisione di un tuo inviato? E col fatto che il tuo inviato si è dovuto scusare? O con la simpatia che da sempre ci lega?» chiede ironica la Guzzanti, pronta a sbranare anche un passante con la Repubblica sotto il braccio.
Poi passa agli «svitatelli» che hanno osato attaccarla. Gente «che non ha le palle per prendersela con dovrebbe». Si rende conto «che siete delle m... e non vi do torto», chiosa in francese la Guzzanti. La cui lettera scatena nuovamente i visitatori del suo sito, che in 150 pubblicano un commento. Anche qui, non sempre in accordo con l’autrice. C’è chi le dice «brava Saby» e racconta di aver giurato, già dal primo articolo sulle (poco) allegre finanze della Guzzanti, «di non collegarmi più al sito di repubblica!!!». Un altro dice «hai fatto bene a cantargliele anche se spero che non sia lui il direttore di Repubblica web che ha permesso l’articolo schifoso sul tuo/nostro blog, certo anche quelli cartacei non erano molto meglio...». Altri le contestano la sfuriata: «Sabina, ti stimo, anzi, ti stimavo. Nei tuoi spettacoli dai addosso a tutti e a tutto ed è lecito, se ora danno addosso a te diventa tutto sbagliato? Avresti fatto più bella figura a sdrammatizzare questa situazione, invece di apparire rancorosa e astiosa». Sicuramente uno «svitatello» «rancoroso» che «non capisce una cippa» pagato da Berlusconi. O da Ezio Mauro.

De Magistris: mio diritto il legittimo impedimento. Se lo usa il Cav però diventa uno scandalo.

L'eurodeputato dell'Idv utilizza i suoi impegni a Strasburgo per non presentarsi al processo sull'inchiesta Why not. Ma se lo fa Berlusconi è un atto incostituzionale... 



Luigi De Magistris può usufruire del legittimo impedimento e Silvio Berlusconi no. L'eurodeputato dell'Italia dei Valori rompe ogni indugio e fa una classifica: imputati di serie A e di serie B. Il presidente del Consiglio "gioca" ovviamente nella seconda categoria.  De Magistris, che è accusato di abuso d’ufficio per aver acquisito tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza avere richiesto prima l’autorizzazione nell'ambito dell'inchiesta Why not, per non presentarsi in aula ha opposto i suoi impegni al parlamento europeo.
"Mi sono avvalso del legittimo impedimento, previsto da sempre dal codice di procedura penale, perché il giorno dell’udienza ero impegnato come presidente della Commissione controllo sul bilancio a votare il bilancio in Commissione, quindi un appuntamento istituzionale importante visto il mio incarico in Europa". Ineccepibile, lo prevede proprio la legge che De Magistris ha boicottato in Parlamento. Non si capisce, allora, perché la stessa legge non debba valere anche per il deputato Silvio Berlusconi. Il paragone col premier fa inalberare De Magistris: "Soprattutto quando mi riguarda e quando questo accostamento ne richiama un altro conseguente: quello della mia persona con Berlusconi". "Non fuggo dai tribunali, non mi avvalgo di scudi ad hoc o di leggi che stravolgono la norma esistente", ha proseguito lo stesso magistrato che definiva il legittimo impedimento "una legge incostituzionale" e una "legge vergogna". Finché no fa comodo...
Gli impegni di De Magistris a Strasburgo sono un impedimento più "legittimo" di un consiglio dei ministri o di un appuntamento internazionale del premier? Sempre la stessa logica dei due pesi e delle due misure...


martedì 29 marzo 2011

Wojtyla, il Vaticano corregge la stima: per beatificazione solo 300mila fedeli

La Capitale si prepara per la beatificazione di papa Giovanni Paolo II. Campi e tendopoli per i pellegrini.





Roma - Sulla beatificazione di Giovanni Paolo II è guerra di numeri. Se nelle scorse settimane era stato ipotizzato l'arrivo di circa due milioni di persone, ora il numero si è abbassato. E anche di parecchio. La diocesi di Roma si attende infatti 300mila persone. Per gli addetti ai lavori non ci sarebbe però nessun flop. "Non c’è alcun crollo di numeri", ha detto padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), nel corso di una conferenza stampa di presentazione dell’evento del primo maggio. "Il numero di due milioni che è stato fatto - ha spiegato il sacerdote - era basato su eventi precedenti, come i funerali di Wojtyla. Ma in quel caso si trattava di cifre relative a due settimane, dalla morte del Papa all’elezione del suo successore. Se anche per la beatificazione allarghiamo l’arco temporale possiamo arrivare a un milione e mezzo di persone. Dipende da come si calcola il numero. Non c’è alcun crollo di numeri, è solo un criterio di calcolo diverso". Sarà. Intanto però negli ambienti della diocesi romana la cifra di 300mila viene considerata una prudente sottostima della cifra che effettivamente si registrerà.
Nessun contributo statale Per la cerimonia di beatificazione di papa Giovanni Paolo II, prevista a Roma il primo maggio, non è stato chiesto nessun contributo dallo Stato né la qualifica di grande evento. "Diversamente dalle altre volte - ha spiegato monsignor Liberio Andreatta, vice-presidente dell'Opera Romana Pellegrinaggi, incaricata dalla diocesi di Roma che organizza l'evento di programmare e gestire l'accoglienza dei pellegrini - per far fronte alle spese non abbiamo voluto gravare sulle casse pubbliche. In considerazione della crisi che ha colpito il Paese e Roma in particolare, ci siamo rivolti a privati per sostenere le spese di questo grande evento". 
Organizzazione Campi raccolta per i pellegrini, due tendopoli a Fiumicino e Civitavecchia, più di duemila uomini della protezione civile regionale in campo, piano straordinario per la sanità e check point di prodotti locali. Così la Regione Lazio, al lavoro con la cabina di regia per coordinare l'evento della beatificazione di papa Wojtyla il primo maggio, si prepara ad accogliere l'invasione pacifica dei pellegrini. Un programma che prevede non solo accoglienza e assistenza ma anche messa in campo di strategie per richiamare il turismo nel Lazio. Saranno due i campi destinati ad accogliere i pellegrini che verranno a Roma. Uno sarà posizionato al Porto di Civitavecchia e sarà destinato a ospitare soprattutto i giovani attesi dalla Spagna, l'altro sarà allestito al porto di Fiumicino. Avranno 500 posti-tenda ciascuno e saranno provvisti di cucina e di un ospedale da campo.
Il programma Una tre giorni per celebrare la beatificazione di Giovanni Paolo II. Roma si prepara dunque ad accogliere i fedeli di tutto mondo. L'Opera Romana Pellegrinaggi, in collaborazione con Comune, Provincia e Regione stanno mettendo a punto il sistema organizzativo per le celebrazioni. Si inizierà il 30 aprile, al Circo Massimo, alle 20 con una veglia di preghiera presieduta dal cardinale Agostino Vallini. Il primo maggio, alle 10, verrà celebrata la Messa di beatificazione da papa Benedetto XVI. Inizierà poi la venerazione delle spoglie del beato Giovanni Paolo II. Il due maggio il cardinale Tarcisio Bertone presiederà la messa di ringraziamento.

Luigi Falco: basta con le cave, devono essere chiuse senza ulteriori proroghe.

Uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del candidato sindaco Luigi Falco, sicuramente riguarda le cave.




Le cave – dichiara- devono essere chiuse senza ulteriori proroghe. Devono essere il punto nodale di un piano regolatore della città che preveda la collocazione in essa di tutti quei servizi che vi possono essere. Più volte sentiamo dire che i piani delle cave non ammettono edificazione ma ciò non è vero in quanto i piani delle cave sono piani regionali e dunque, tutti i dipendenti  regionali che percepiscono lauti stipendi, si attiveranno, su input della mia amministrazione, per modificare le leggi. Dimostrando al mondo che non è utile togliere pietre dove ci sono alberi e mettere alberi dove sono rimaste pietre desolanti. Le cave devono essere anche il sito in cui si può pensare di delocalizzare aree militari sovrastimate come metri quadrati.  E possono liberare al centro città importanti spazi  da destinare, non  a edilizia selvaggia ed inutile ma,  ad attrezzature ed impianti sportivi. Se veramente si vuole il Policlinico bisogna con forza chiedere la delocalizzazione dei cementifici.  Se ciò non avviene la Regione lo esclude in automatico. A nulla valgono le assurde torri ad acqua che dovrebbero abbattere le polveri ambientali per non farle giungere nell’area de quo. La mia battaglia inizierebbe il giorno dopo la mia elezione a sindaco riprendendo il discorso da dove l’ho lasciato. Servendomi degli strumenti di verifica e controllo  che ho a disposizione,  farei in modo che le attività debbano cessare immediatamente.   La composizione del paesaggio delle aree di cava avverrà attraverso la partnership tra pubblico e privato in quanto l’intervento del privato servirà a finanziare, insieme al pubblico, tutto ciò che riguarderà la ricomposizione dell’area stessa. Ovviamente il progetto è da studiare e portare avanti e già un  pool di tecnici ci sta lavorando.
E’ finito il tempo in cui si cede il terreno allo speculatore di turno che promette di  infilarlo, con la prossima amministrazione, nel nuovo piano regolatore della città. Non mi si obietti che c’è il proprietario di terra che vorrebbe costruire la casa per i figli, perché è possibile introdurre nel piano regolatore delle eccezioni . Infatti per coloro che  vogliono edificare case unifamiliari da destinare ai propri congiunti, con un vincolo di inalienabilità per i prossimi trent’anni si garantisce immediatamente  a chi ha il terreno a Pozzovetere di costruire per il figlio ma anche che questa non venga venduto”. Ed infine Falco  invita gli altri candidati sindaci ad “esprimersi su questi concetti che sono innanzitutto politici e poi di tipo urbanistico. Perché dalla Regione che è amica ed attenta, come questa governata da Caldoro, si può ottenere questo ed altro per il bene della città.”


Sfascismo di sinistra.

Se Berlusconi non va ai processi è scandaloso, se ci va è scandaloso uguale. Dalla crisi libica al problema dei clandestini, tutto è usato in chiave di polemica politica. E pure su Marchionne...





Dopo anni, per la precisione otto, di spasmodica attesa l’opposizione ha ottenuto ciò che voleva, cioè vedere Silvio Berlusconi varcare la porta di un tribunale, quasi che da questo dipendesse il futuro del Paese. È accaduto ieri a Milano, udienza preliminare del processo Mediatrade, una complicata storia di diritti televisivi tra l’Italia e l’America. Berlusconi è accusato di essere socio occulto di un mediatore, anche se i conti non tornano. Il premier infatti non si è mai occupato direttamente di questa pratica e comunque appare bizzarro che abbia pagato tangenti a se stesso, come sostiene l’accusa. Sta di fatto che così si incardina il venticinquesimo processo contro di lui, un record italiano e probabilmente mondiale che la dice lunga in quanto ad accanimento giudiziario.
Finita l’udienza, Berlusconi si è intrattenuto in strada con un gruppo di simpatizzanti. Saluti e qualche battuta, una sorta di «predellino due» sulla giustizia. Ciò è stato sufficiente per innescare la protesta del solito Di Pietro, che evidentemente vorrebbe regolare per legge anche le apparizioni pubbliche del primo ministro. A Fini è permesso fare campagna elettorale da presidente della Camera, al premier dovrebbe essere vietato salutare i suoi sostenitori.
La verità è che l’opposizione ormai sa soltanto fare sfascismo. Se Berlusconi non va ai processi è scandaloso, se ci va è scandaloso uguale. Dalla crisi libica al problema dei clandestini, tutto è usato in chiave di polemica, direi guerra, politica. Basta infangare, distruggere anche ciò che di buono e utile si riesce a fare. E non soltanto per quello che riguarda il Cavaliere. L’altra sera, sulla Rai, tv di Stato, la trasmissione Report è riuscita a toccare un nuovo picco di antitalianità, facendo passare Sergio Marchionne,amministratore delegato Fiat, per un furbetto in cattiva fede e anche un po’ incapace. L’uomo che ha salvato la Fiat, il manager che il mondo ci invidia e che ha la fiducia del presidente degli Stati Uniti è stato ridicolizzato perché abita in una lussuosa villa in Svizzera (dove ha la residenza daanni), perché ha comprato casa all’ex moglie facendo sistemare il giardino da personale italiano che costa meno di quello svizzero e perché paga le tasse in quel cantone.
La Gabanelli e soci evidentemente la sanno lunga su come gestire la prima industria italiana. Si sono avventurati in calcoli ed analisi, hanno cercato di contare i giorni che Marchionne passa in Italia, perché se fossero più di 183 si potrebbe configurare il reato di evasione fiscale. Insomma, Marchionne è avvisato. Come tutti quelli che in Italia vogliono cambiare per modernizzare il Paese (il caso Berlusconi insegna), sta finendo nel tritacarne mediatico. Gli auguriamo di scampare a quello giudiziario, anche se non escludiamo che qualche zelante pm voglia vederci chiaro sui giardinieri e sul numero di giorni che passa in Svizzera. A sinistra, quando si tratta di fare male all’Italia, sono specialisti.

La Guzzanti si scaglia contro i suoi contestatori. " Siete Berlusconiani"

Criticata per gli investimenti poco Brillanti la pasdaran anti-cavaliere, li insulta tutti .




Ti attaccano? Sono berlusconiani, anzi berluscones, forse pure sodomiti. La strascicata querelle della spiacevole vicenda che ha visto coinvolti come vittime alcuni “vip” tra cui Sabina Guzzanti ha preso, nel caso della figlia di Paolo e sorella di Corrado, toni un po’ sbracatelli.  È andata così. La comica  si è un po’ inalberata perché, a suo dire, le cronache giornalistiche del fatto se la prendevano più con i truffati che non coi truffatori. L’ha buttata sull’ironia, ed è pure giusto. Dopo essere stata raggirata - in ottima compagnia - da una presunta associazione per delinquere finalizzata a reati finanziari, sul suo blog (www.sabinaguzzanti.it) è stata assalita da molti commenti, poco rilevanti in sé ma emblematici della grande differenza tra idea e azione.
Il problema, ovviamente, non è di avere ottimi risparmi frutto del proprio lavoro, anche di anti-berlusconiana militante (se si fa il conto di chi, più o meno indirettamente, ha redditi legati al Cavaliere, non si salva  nessuno). Per quello decide il mercato: chi vende biglietti del proprio spettacolo, realizza film visti, si fa leggere, giustamente porta a casa i suoi gruzzoli, e ne sceglie la destinazione per farli fruttare al meglio. Senza confondere truffatori e truffati, si può casomai ragionare sulla decisione di Sabina e degli altri (Massimo Ranieri, Samantha De Grenet e via dicendo), che rivela un po’ di ingenuità, o forse - come ha sottolineato qualcuno - un po’ di imprudente avidità, ma magari non è il caso in questione. Lei, Sabina, l’ha presa con ironia un po’ sgrammaticata e senz’altro avara almeno di punteggiatura: «Giustamente la mia faccia era su tutti i telegiornali e sui giornali di oggi e di ieri perché sono stata truffata insieme a tanta altra gente e scandalosamente hanno arrestato i truffatori e non i truffati. A questo scandalo i media giustamente, responsabilmente cercano di porre riparo riequilibrando un po’ le cose. [...] Vi domandavate come mai non arrivavate alla fine del mese? Li avevo presi io».
Le cose curiose sono due. La prima è una strana - è ovvio, ironica - ansia di giustificarsi (sempre senza virgole) per aver lavorato e portato a casa la pagnotta: «Non so cosa altro posso dire per giustificarmi. Lo ammetto ho lavorato anche con impegno e avrei intenzione di continuare. Ho messo da parte dei risparmi, sapete com’è ogni tanto quei pensieri tristi sulla vecchiaia e le malattie che in mancanza di walfare (sic) ogni tanto si affacciano».
La seconda arriva nei commenti, nei quali a un certo punto Sabina Guzzanti - così almeno recita la firma - decide di reagire alle decine di repliche (per la cronaca, prevalgono di poco quelle a lei avverse: del tipo eccola, cuore a sinistra e portafogli a destra...). La seconda cosa strana, insomma, è che lei sbotta così, con una puntina di volgarità: «guardate che appunto lo scudo fiscale nn l’ho fatto perché non ne ho avuto bisogno, avendo sempre dichiarato tutto. ma siete così avvelenati berluscones che non sapete leggere? per questo votate berlusconi che vi incula? è proprio vano spiegarsi in italiano?». E di colpo il popolo, la gente con un numero di “g” a piacimento, in fondo pure il tuo pubblico, se ti si rivolta contro a vario titolo diventa una massa ovviamente «inculata» dal più grande surrogato umano al capro espiatorio che l’Italia del dopoguerra abbia mai conosciuto: il Cavaliere.
Stiamo in effetti parlando della stessa Sabina Guzzanti che, facendo una caricatura guerrafondaia di Oriana Fallaci con elmetto in testa e occhialoni, prese al volo una cordialità del pubblico: «Ti venisse un cancro» replicando con ottimo tempismo: «Ce l’ho già, e ti venisse anche a te e alla tu’ mamma». Lei, Oriana, la degnò perfino di una risposta: «Giovanotta, essendo una persona civile io le auguro che il cancro non le venga mai. Così non ha bisogno di quell’esperienza per capire che sul cancro non si può scherzare. Quanto alla guerra che lei ha visto soltanto al cinematografo, per odiarla non ho certo bisogno del suo presunto pacifismo. Infatti la conosco fin da ragazzina, quando insieme ai miei genitori combattevo per dare a lei e ai suoi compari la libertà di cui vi approfittate». Berluscones pure lei?



sabato 26 marzo 2011

Il prossimo Beato Karol e i suoi piccoli amici




Che Giovanni Paolo II fosse amato e amasse in particolar modo bambini e giovani è cosa arcinota. La sua vita e il suo pontificato furono segnati in modo particolare da questo amore. In vista della sua beatificazione si moltiplicano a dismisura iniziative, libri, convegni, studi dedicati a Karol Wojtyla, ma, in questo mare magnum, segnaliamo due iniziative dedicate proprio al rapporto specialissimo tra il Papa e i più piccoli.   “Una luce di speranza nella Chiesa e nel Mondo” è il tema di un concorso rivolto a tutti gli studenti e le classi degli Istituti Scolastici di Roma in occasione anche del 90° Anniversario della nascita del grande Papa. La partecipazione degli alunni è individuale, ma può essere anche di classe. Gli studenti potranno decidere di partecipare seguendo la loro creatività con disegni, poesie, componimenti e quant’altro con qualsiasi tecnica multimediale.  Oltre ai premiati tutti i partecipanti riceveranno un attestato di partecipazione. La premiazione avverrà il 13 maggio 2011 presso la Pontificia Università Lateranense. Il giorno precedente ci sarà una veglia di preghiera mariana presso la basilica di Santa Maria Maggiore. Gli elaborati con firma leggibile, e con la scheda di partecipazione, dovranno essere inviati, entro non oltre il 30 marzo p.v., c/o la Segreteria del Concorso in V. E. Florian n 30 int. 3 00173 Roma oppure Casella postale n. 4119 Roma Appio
Esce, poi, il libro “L’amico Karol. Giovanni Paolo II. La sua vita raccontata ai bambini”.  Il testo,  a cura di Filippo e Katerina von Ketteler, racconta ai bambini e ai ragazzi la straordinaria esperienza di vita di e di fede di Papa Wojtyla: l’adolescenza, gli orrori del nazismo e poi del regime stalinista, la vocazione, il Concilio Vaticano II, l’elezione al soglio pontificio e gli anni del pontificato fino alla morte, sopraggiunta il 2 aprile 2005. I bambini, che Wojtyla definiva ‘piccoli amici di Gesù’, possono così ripercorrere il cammino di Karol e accostarsi al suo “segreto”: la capacità di far sentire, a tutti coloro che incontrava, la vicinanza di Dio.
Si tratta del primo libro su Papa Wojtyla dedicato ai bambini. E proprio l’amore che Karol manifestava nei confronti di essi, è il tema che il cardinale Dziwisz, che fu segretario del Papa, mette in risalto nella prefazione al volume; sentimento fortemente ricambiato dai bambini nei confronti di un Papa venuto da lontano. Il vescovo metropolita di Cracovia ricorda quando nel dicembre del 1994 Giovanni Paolo II dedicò ai bambini una Lettera pastorale, in occasione dell’anno della famiglia, un gesto unico nella storia della Chiesa. “Cari bambini” – scriveva il Papa – “vi scrivo pensando a quando anch’io, molti anni fa, ero bambino come voi.  Allora anch’io vivevo l’atmosfera serena del Natale e, quando brillava la stella di Betlemme, andavo in fretta al presepe insieme ai miei coetanei per rivivere ciò che avvenne 2000 anni fa in Palestina. Noi bambini esprimevamo la nostra gioia prima di tutto col canto. Quando sono belli e commoventi i canti natalizi che nella tradizione di ogni popolo si intrecciano intorno al presepe! Quali pensieri profondi vi sono contenuti e, soprattutto, quale gioia e quale tenerezza essi esprimono verso il divino Bambino venuto al mondo nella Notte Santa!” Il volumetto (72 pp, 13 €, Marcianum Press 2011), riccamente corredato da disegni a colori, attraverso un linguaggio semplice e immediato, accompagna il piccolo lettore lungo questa vita straordinaria, segnata dalla Grazia ma anche  costellata di sofferenza, sempre accettata nel nome del Signore.

Anche Di Pietro scarica Vendola: "Ha esagerato" Ma Nichi tira dritto: "Non ho accusato nessuno"

Il leader Idv minimizza l’allarme lanciato da Vendola sulle infiltrazioni mafiose al Nord: "Da qui a dire che la Lombardia è terra di mafia ce ne corre". Ma il presidente pugliese non fa marcia indietro: "Non ho accusato nessuno". E la Moratti: "E' ingiusto, pensi piuttosto alla Puglia"




Anche Antonio Di Pietro scarica il governatore pugliese Nichi Vendola. Il leader dell’Italia dei Valori ha frenato sull’allarme lanciato da Vendola sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia: "Da qui a dire che la Lombardia è terra di mafia ce ne corre". Ma il presidente della Regione Puglia non fa marcia indietro: "Non ho accusato nessuno".
Di Pietro smentisce Vendola "La criminalità non ha confini e non c’è dubbio che la 'ndrangheta, la mafia oggi hanno una capacità distruttiva e pervasiva a livello mondiale - ha detto Di Pietro - e per questo ci sono infiltrazioni in Lombardia, Piemonte, Molise, dappertutto, e non c’è dubbio che sia così. Ma da qui a dire che la Lombardia è terra di mafia ce ne corre". "La Lombardia - ha ricordato Di Pietro - è innanzitutto terra di piccole e medie imprese, di laboriosità, di persone che vogliono fare il loro dovere e che, semmai, si lamentano di una burocrazia eccessiva, di uno spreco di risorse e di un sistema politico che, nonostante Mani Pulite abbia individuato tante anomalie, ancora permane nel lavorare a doppia velocità, da una parte chi fa il proprio dovere e dall’altra chi approfitta delle proprie funzioni".
Vendola non arretra di un passo "Non ho fatto alcuna accusa al Formigoni - ha spiegato Vendola - ho solo detto che tutta la classe dirigente ha il dovere, l’obbligo, la necessità di fare luce sul buio della penetrazione mafiosa che ha la sua 'cabina di regia' al Sud e il portafoglio al Nord". Il governatore pugliese ha provato così a chiudere la polemica ricordando le lontane e recenti denuncie della Dna sulla presenza della ’ndrangheta al Nord e in particolare in Lombardia e chiarendo che non sui temi della criminalità e e della presenza mafiosa nel nostro Paese non vuole "né subire né esercitare strumentalizzazioni politiche: è un problema di tutti e da tutti deve essere affrontato". "E' chiaro - ha aggiunto - che la responsabilità prima di rompere l’omertà su queste situazione ricade su chi gha responsabilità politiche. Noto che ci sono stati comportamenti e trattamenti informativi diversi nei miei confronti. Ho già detto a suo tempo che la pagliuzza nell’occhio del centro sinistra pesa molto più della trave altrove. Pur avendo io preventivamente azzerato la Giunta pugliese a suo tempo ho subito un vero e proprio ’linciaggiò mediaticò frutto delle pressioni che derivano da chi Š padrone dei mas media in Italia - ha aggiunto Vendola - tutta la classe politica ha una responsabilità diretta e in prima persona su questi temi".
Moratti: "Ingiusto, pensi alla Puglia" Anche il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha difeso Formigoni dall'attacco: "Vendola deve occuparsi della sua regione. Vendola viene a Milano, viene in Lombardia e non la conosce. È la prima regione d’Italia nel contribuire a creare in tutto il Paese opportunità di lavoro e produzione di ricchezza. E' ingiusto". Alcune infiltrazioni della ’ndrangheta nel tessuto sociale e politico della Lombardia il sindaco di Milano ha aggiunto: "Tutte le istituzioni che ringrazio di cuore sono estremamente vigili e sono riusciti a sventare un pericolo reale rispetto al quale dobbiamo sempre stare allerta. Un conto è questo, un conto è insultare una regione che contribuisce alla ricchezza del nostro Paese. Questo è profondamente ingiusto, è profondamente sbagliato".


In Siria uccidono più che in Libia i propri concittadini. Cosa ne dite...li bombardiamo?

Ordinato alla Polizia di sparare sulla folla, ma le forze dell'Occidente attraverso gli interventi "umanitari" preferiscono bombardare Gheddafi.




E' un gran bel momento per fare il dittatore in Africa e in Medio oriente. A patto di non chiamarsi Muhammar Gheddafi, s’intende. Per i colleghi del rais questi sono giorni di pacchia: con le telecamere di tutto il mondo puntate sulla Libia, a un’ora di volo da Tripoli non si è mai stati così liberi di sparare sulla folla. La dottrina con cui le Nazioni Unite giustificano l’operazione Odyssey Dawn, riassunta nella simpatica sigla «R2P», che sta per «Responsabilità di proteggere» (al Palazzo di Vetro c’è chi è pagato per inventare simili cose), trova applicazione solo all’interno dei confini libici. Al di là di questi, è caccia aperta al contestatore. Così, nel caso qualcuno avesse dubbi sui motivi della guerra di Libia, ora se li può togliere: sono politici, l’afflato umanitario non c’entra nulla.
Nessuno, infatti, ha la minima intenzione di intervenire in Siria. Qui, mentre il presidente Bashar al Assad in televisione parla di riforme, da giorni la polizia spara ad altezza d’uomo sui manifestanti. Ieri, in un sobborgo vicino Damasco, le forze di sicurezza hanno ucciso almeno una ventina di persone. In poche ore i morti sono stati decine in tutto il Paese, tanto che la giornata è già stata ribattezzata «venerdì di sangue». Stessa idea di «dialogo con l’opposizione» che appartiene al presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, il quale una settimana fa, nella capitale Sanaa, ha fatto uccidere dai cecchini appostati sui tetti oltre cinquanta persone. Ieri Saleh si è detto anche disponibile a cedere il potere, ma «in mani sicure e non alle forze dannose che cospirano contro la patria». L’impressione è che a mollare non pensi proprio. Mentre in Bahrein il re Hamad ben Issa Al Khalifa, sostenendo che i manifestanti erano manovrati da un «complotto straniero», ha chiesto ad Arabia Saudita, Emirati Arabi e Kuwait di mandare le loro truppe per sparare su chi protesta. Richiesta subito accolta. E siccome il piccolo arcipelago del Golfo Persico ospita la Quinta Flotta americana, e gli Stati Uniti ricambiano come possono, chi poteva emettere una condanna internazionale della repressione in Bahrein ha preferito guardare altrove.
Gli insorti potranno consolarsi con il fatto che ieri l’Unione Europea, stando bene attenta a premettere che «la situazione è diversa in ogni Paese» (fosse mai che qualcuno la prende sul serio e si offende), ha espresso nientemeno che «la massima preoccupazione per la situazione in Siria, Yemen e Bahrein», chiedendo «a tutte le parti coinvolte di avviare un dialogo costruttivo e significativo senza rinvii e precondizioni». Le risate dei tre despoti possiamo immaginarle.
Visto allora che nessuno pensa di torcere un capello a chi massacra più e meglio di Gheddafi, e visti anche costi e rischi dell’operazione Odyssey Dawn, sarebbe educato che qualcuno spiegasse cosa stiamo a fare in Libia. Non è un problema solo italiano. Le domande che Libero e qualche altro osservatore pongono da giorni sono le stesse che ieri Peggy Noonan, biografa e ghost-writer di Ronald Reagan, ha fatto a Barack Obama in un editoriale sul Wall Street Journal: «Cosa, esattamente, stiamo facendo? Perché lo stiamo facendo? Sappiamo contro chi siamo – Muhammar Gheddafi, un uomo cattivo che ha fatto cose molto malvagie. Ma sappiamo in favore di chi siamo? Cosa sa o cosa pensa di sapere il governo sulla composizione e le motivazioni delle forze ribelli che stiamo cercando di assistere? Per 42 anni Gheddafi ha controllato le tribù, le sette e i gruppi della sua nazione attraverso la forza bruta, la corruzione e la lusinga. Cosa avverrà quando non saranno più oppressi? Cosa diventeranno e quale ruolo svolgeranno nel dramma che sta per iniziare? La loro ribellione contro Gheddafi degenererà in una dozzina di battaglie separate per il petrolio, il potere e il dominio locale? Cosa accadrà se Gheddafi resiste? E, al contrario, cosa accadrà se Gheddafi cade, se viene deposto da un colpo di stato di palazzo, o viene ucciso, o fugge? Chi, esattamente, immaginiamo che prenderà il suo posto?».
Dalla Casa Bianca, come dagli altri governi coinvolti, a tutte queste domande non è ancora arrivata alcuna risposta. Mal comune, grosso guaio.

L'ultima follia dei "pensatori" della sinistra? Il Nord è più mafioso del Sud...

Durissimo scontro tra Formigoni e Vendola dopo l'attacco del governatore pugliese: "Al Nord la 'ndrangheta controlla le Asl. La Lombardia è la regione più mafiosa d'Italia". Il numero uno del Pirellone: "E' un miserabile che parla sotto effetto di sostanze". Così parte la nuova campagna della sinistra: sostenere che il Nord è peggio del Sud. E Vendola fa finta di non vedere che cosa fanno i clan dalle sue parti.



Il Nord? È peggio del Sud. Ven­dola, Saviano e Santoro ripetono in coro il loro ultimo mantra. Ma­ledetta Milano e la sua terra. Male­detta la nebbia che nasconde gli affari sporchi. Tra un po’ diranno che Gomorra è solo una succursa­le dei capitalisti lùmbard . Biso­gna riscrivere la leggenda di Os­so, Mastrosso e Carcagnosso: i tre fratelli all’origine della mafia era­no partiti da piazza Affari. Non si è capito, invece, perché i tre sudi­sti parlano ormai solo di quanto sia sporco il settentrione. Atten­zione. Il Nord non è una terra ver­gine. Ma è possibile che sia l’origi­ne di tutti i mali? Mafia, camorra e ’ndrangheta da un po’ di tempo sono sempre «cosa loro». Non si può più parla­re di pizzo e riciclaggio che spun­ta fuori la Lombardia. È un ritor­nello, ossessivo, ridondante. Mi­lano e dintorni stanno diventan­do la nuova Gomorra, quella si­lenziosa, dove non si spara, dai colletti bianchi e le solite tangen­ti. Non c’è dubbio che le mafie non si accontentano più delle lo­ro terre d’origine. Hanno tanti sol­di che si possono comprare mez­zo mondo. Investono, puliscono, imbrogliano,s’infiltrano.Non so­lo al Nord. Non solo in Italia. La ’ndrangheta, per esempio, da an­ni banchetta in Germania. Ma la Lombardia la vogliono far diven­tare un simbolo: terra di mafie. La prima volta è una denuncia. La seconda un’allerta.La terza un modo per non abbassare la guar­dia. Ma quella di Vendola, Savia­no e Santoro sembra una campa­gna politica dal sapore antinordi­sta. Non è una nuova versione del­la questione meridionale. Non è neppure orgoglio sudista. È un modo per dire che i mali del Mez­zogiorno, se si guarda bene, non hanno nulla a che fare con il desti­no di Calabria, Sicilia e Campa­nia. La mafia è un virus che forse è partito da lì, magari per colpa del­­l’unità d’Italia, ma ormai non lo si può più considerare autoctono. Anzi. Dopo aver viaggiato per il mondo, si è fermato in Lombar­dia e torna al Sud modificato. È un nuovo virus, più letale e perico­loso. Insomma, il Nord sta impor­tando al Sud una mafia genetica­mente modificata. Una mafia Ogm che non assomiglia neppu­re più a quella originale. Questo discorso, questa narrazione, fini­sce per giustificare le responsabi­lità del Sud. Non serve ai meridio­nali. Fa diventare la lotta alla ma­fia una questione ideologica. Ed è questo il peccato peggiore. Dunque nessuna meraviglia per il battibecco lombardo-pu­gliese. Sostiene Vendola, laurea in lettere: «La Lombardia è la re­gione più mafiosa d’Italia». E ag­giunge: «Non abbiamo avuto la fortuna di vedere sui Tg nazionali la faccia di Letizia Moratti e Rober­to Formigoni associati alle vicen­de di cronaca giudiziaria che rac­contano quale sia il livello di per­vasività della ’ndrangheta». Ri­sponde Formigoni, laureato in fi­losofia alla Cattolica e prealpino doc, quindi insensibile alle torsio­ni liriche: «Nichi Vendola è un mi­­serabile, probabilmente sotto ef­fetto di qualche sostanza. Tede­sco ha detto con chiarezza che gli stessi reati commessi da lui li ha commessi Vendola. Come mai due pesi e due misure? Risponda Vendola come mai non è in gale­ra, poi potrà dire qualcosa della Lombardia». I mafiosi ascoltano e sorridono soddisfatti.L’antima­fia è spaccata. C’è quella del Nord e quella del Sud. E forse ha ragio­ne uno che la mafia la conosce davvero, come Nicola Gratteri: «La mafia è senza confini. Investe al Nord e saccheggia il Sud».

Fonte: Il Giornale.

martedì 22 marzo 2011

Libia: Sarkozy solo contro tutti

Sferzata dell'America a Sarkozy che è sempre più solo nella guerra contro la Libia di Gheddafi. Obama lancia l'avvertimento: "I contributi nazionali sono possibili solo in mano alla Nato". Napolitano si unisce a Berlusconi. Ma la Francia minimizza ("Sono solo polemiche sterili") e propone l'istituzione di una cabina di regia. Ma la Farnesina non ci crede: "E' solo una delle ipotesi di lavoro che si stanno discutendo".



Roma - Il presidente americano Barack Obama ha deciso che i "contributi nazionali" per l’attuazione della risoluzione 1973 sulla Libia sono possibili solo se in mano alla Nato. Il segretario di Stato alla Difesa Robert Gates ha comunque previsto che i combattimenti dovrebbero diminuire nei prossimi giorni: "La coalizione eviterà in gran misura vittime civili". Intanto la Nato ha deciso di lanciare un'operazione per imporre l’embargo delle armi contro la Libia ed è pronta a intervenire per contribuire alla realizzazione della no fly zone. Ma la Francia strappa ancora e fa orecchie da mercante: "Il comando in mano alla Nato? Sono solo polemiche sterili".
Anche Napolitano si unisce al Cav Il comando delle operazioni in Libia affidato alla Nato "rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso dell’incontro avuto oggi al Quirinale con l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, ricevuta insieme ad una delegazione bipartisan della stessa Camera dei Rappresentanti e all’ambasciatore Usa in Italia David Thorne. Napolitano ha ribadito "l’esigenza imprescindibile sostenuta dall’Italia, in piena sintonia con Stati Uniti, Regno Unito ed altri alleati, di un comando unificato". Pelosi ha messo in evidenza "la funzione cruciale che spetta all’Italia nell’attuazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: posizione risultata pienamente condivisa dal membro del Congresso John Mica, rappresentante della maggioranza repubblicana, e dagli altri componenti della delegazione". La delegazione guidata da Pelosi, reduce da una visita in Afghanistan, ha espresso "vivo apprezzamento per il ruolo svolto dall’Italia fin dall’inizio dell’impegno in Afghanistan e più di recente per il ruolo guida nell’addestramento delle forze di sicurezza afghane assunto dai nostri Carabinieri".
L'accordo sul rispetto embargo La Nato farà rispettare l’embargo sulle armi alla Libia previsto dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Un accordo in tal senso sarebbe stato raggiunto in sede di rappresentanti permanenti nel Consiglio Atlantico, riunito oggi nel quartier generale dell’Alleanza atlantica. Quello sul rispetto dell’embargo delle armi è il secondo "mandato" per operazioni in Libia sul quale i 28 paesi dell’Alleanza Atlantica riescono a trovare un accordo dopo quello per una missione di protezione armata di una missione umanitaria raggiunto in sede di ministeriale difesa giovedì scorso. Le operazioni di controllo dell’embargo, come a suo tempo spiegato da fonti Nato, implicano la possibilità di fermare con l’uso della forza le navi o i convogli sospettati di trasportare armamenti per il regime libico. Nessuna decisione ancora è stata presa sulla dichiarazione di no fly zone da parte della Nato.
Ma Sarkozy fa orecchie da mercante Il presidente francese Nicholas Sarkozy non ascolta le pressioni della comunità internazionale. Anzi. Il portavoce del Quai d’Orsai, Bernard Valero, fa sapere che la cooperazione tra l'Italia e la Francia sulla crisi libica "è eccellente" e Parigi è "molto grata" per la partecipazione italiana alle operazioni militari nell’ambito della risoluzione 1973 dell’Onu. Intervistato dall’
Agi Valero ha, tuttavia, invitato la comunità internazionale a "non perdere tempo in polemiche sterili e artificiose". Ancora una volta, infatti, la Francia prova a fare orecchie da mercante alle richieste avanzate sia dall'Italia sua dagli Stati Uniti. Il portavoce si è detto "sorpreso" del risalto dato dalla stampa italiana a una crisi diplomatica tra i due Paesi. "Quando ho letto i giornali stamane sono caduto dalle nuvole", ha detto spiegando di aver molto apprezzato anche l’intervento del ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, al G8 di Parigi. "Tutti pensiamo alla Nato. Ma non per questo dobbiamo scagliarci l’uno contro l’altro". "Bisogna ritornare ai fondamentali - ha aggiunto il portavoce. - E il problema non sono la Francia e l’Italia ma è il regime di Gheddafi". Valero ha ricordato i "milioni di cittadini libici" che stanno soffrendo di questa situazione e chiedono sicurezza e "a cui dobbiamo dare una risposta". "La priorità ora - ha proseguito - è trovare la buona soluzione e a questa non si arriva mettendosi l’uno contro l’altro ma agendo uniti".
Le cabina di regia La Francia ha proposto ai suoi alleati della coalizione che bombardano da sabato posizioni libiche "un organismo di controllo politico", una sorta di cabina di regia dell’operazione militare, a livello di ministri degli Esteri. Il capo della diplomazia francese, Alain Juppé, ha proposto ai colleghi britannici che "sono d’accordo di mettere in piedi un’istanza di controllo politico dell’operazione che riunisca i ministri degli Esteri degli stati che sono intervenuti e quelli della Lega araba". "Dovremmo riunirci nei prossimi giorni a Bruxelles, a Londra o a Parigi, e ripetere regolarmente questo tipo di riunione per rimarcare con evidenza che il controllo politico esiste", ha aggiunto Juppè sottolineando che "naturalmente, il mondo arabo avrà tutto il suo spazio". "A partire da questo controllo politico, e sotto la responsabilità del ministro della Difesa (francese), utilizzeremo certamente le capacità di pianificazione e di intervento della Nato - ha precisato il ministro - le cose da questo punto di vista sono completamente chiare". "Per noi quest’operazione è inizialmente un’operazione voluta dalle Nazioni Unite, è condotta da una coalizione di stati membri dei quali non tutti sono membri della Nato - ha insistito Juppè - questa non è dunque un’operazione della Nato, anche se deve potersi sostenere sui mezzi militari di pianificazione e di intervento dell’alleanza". In occasione del suo intervento il ministro francese ha anche reso "omaggio" ai soldati francesi impegnati nell’operazione, salutato "il ruolo del Libano" nella messa a punto di una risoluzione all’Onu che autorizza il ricorso alla forza per proteggere civili e il ruolo della missione diplomatica francese all’Onu che ha permesso di costituire un sostegno internazionale a un via libera delle Nazioni Unite.
Ma la Farnesina prende le distanze La convocazione di una riunione dei ministri degli esteri dei Paesi coinvolti nell’intervento militare in Libia preannunciata dal capo della diplomazia francese, Alain Juppe, è per l’Italia solo "una delle diverse ipotesi di lavoro che si stanno discutendo", discussioni in cui sono coinvolti "tutti i Paesi membri della coalizione". Fonti della Farnesina interpellate dall’Adnkronos precisano che "non è detto che si concretizzi" la proposta di Juppe per una riunione da tenersi a giorni in una capitale europea, e quindi, a maggior ragione, la creazione di una "cabina di regia" dell’operazione in Libia a livello di ministri degli esteri. L’Italia, si ricorda, continua a ritenere come prioritaria l’assegnazione del comando delle operazioni alla Nato.

Ricordate gli scontri del 14 dicembre? Il ragazzo del casco andrà a giudizio.

Dopo tre mesi, il pizzaiolo che colpì uno studente con un casco durante la manifestazione studentesca sarà processato con rito immediato.



Roma - Il 14 dicembre scorso, durante una manifestazione studentesca, un ragazzo colpisce alla testa Cristiano, 15 anni, procurandogli una frattura nasale scomposta. Un video pubblicato su YouReporter.it lo riprende tra la folla e poi mentre aggredisce lo studente in pieno centro a Roma. Ora Manuel De Santis, che confessò qualche giorno dopo, è stato rinviato a giudizio con rito immediato. Ad ottenere il processo, che comincerà il 3 maggio prossimo è stato il pm Luca Tescaroli. De Santis, difeso dall’avvocato Tommaso Mancini, dovrà rispondere di lesioni gravi nei confronti di Cristiano. Il video mostra che il ventenne pizzaiolo ha colpito con il casco anche un’altra persona, che non ha sporto denuncia.
De Santis si autodenunciò Il giovane si era autodenunciato all’indomani dei fatti scrivendo alla Procura sostenendo di aver colpito Cristiano nel tentativo di evitare disordini e il lancio di oggetti contro le forze dell’ordine. Nella missiva De Santis si era assunto responsabilità dell’episodio e aveva chiesto, insieme con la famiglia, di incontrare privatamente Cristiano e i suoi genitori. Prima della confessione le ipotesi sulla sua identità si erano susseguite e qualcuno aveva persino ipotizzato che fosse un "infiltrato" della polizia o un black block. 

La Bindi che non t'aspetti: avevo un fidanzato e piaceva a mia nonna...

La Bindi si racconta: "Ho avuto due o tre innamorati. Nessuno mi ha mai lasciata, piuttosto non mi lascio prendere..." 




Roma - "Certo che ho avuto un fidanzato. Piaceva tanto a mia nonna, era innamorata di quel ragazzo perbene con gli occhi celesti". Ecco la Rosy Bindi che non ti aspetti. I batti cuore, i sogni di gioventù e i fidanzati. Il presidente del partito democratico si racconta ad A dopo che per una intera vita ha fatto di tutto per tenere nascosto il proprio lato privato. Ora si racconta e svela di aver avuto in passato due o tre innamorati.
La Bindi svela la sua vita privata Un'intervista a trecentosessanta gradi. Dalla vita privata alla politica, dagli amori alle aspirazioni. Rosy Bindi si mette a nudo. Del suo privato, di solito, non parla mai. Ha fatto un'eccezione per il settimanale diretto da Maria Latella. Il presidente democratico rivela di aver avuto "due, tre innamorati", oltre al bellone dagli occhi color del mare che aveva presentato ai suoi famigliari. Mai avuto delusioni? Bindi, che ha da poco compiuto sessant’anni, risponde: "Eh no, manco per idea, e che, mi faccio lasciare, io? Piuttosto non mi faccio prendere... Un amore non corrisposto non l’ho mai preso in considerazione". Poi l'esponente del Pd svela il rapporto con il proprio corpo che con il tempo è andato migliorando. "In passato lo ignoravo, non mi ci sono mai dedicata molto - svela il presidente del Pd - ora mi sento riconciliata con me stessa".
L'impegno nella politica e nel Pd Dal privato all'impegno in politica il passo è davvero breve. A proposito della leadership nel Partito democratico, infatti, la Bindi difende il segretario Pierluigi Bersani e sostiene che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, non rappresenta "il nuovo". "Anche lui è figlio di questi quindici anni di berlusconismo - spiega la Bindi - l’Italia uscirà fuori da questo periodo buio solo grazie a chi ha gli anticorpi, ha sempre reagito a questa logica". L'ultima stoccata, infine, la dedica a Daniela Santanchè: "E' capace di sostenere con la stessa forza una posizione e il suo esatto contrario". "Ora sta svolgendo il ruolo di militante berlusconiana sfegatata - conclude la Bindi - sono sicura che il giorno in cui andrà contro Berlusconi userà la stessa veemenza di oggi".

Tribunale assolve il tabaccaio: adesso proteggersi da soli è davvero un diritto.

Milano: la sentenza del tribunale e' una vera rivoluzione " rifonda la leggittima difesa ".

Da ieri la legittima difesa esiste anche in Italia. Giovanni Petrali, il tabaccaio di 74 anni che nel 2003 ha sparato a due rapinatori entrati nel suo locale per svuotargli la cassa (ferendone uno e uccidendo l’altro) è stato assolto. Finalmente. Significa che in questo Paese è davvero concesso a un cittadino aggredito di difendere se stesso, i propri cari e i propri beni. Anche utilizzando le armi. 
  In primo grado Petrali era stato condannato a un anno e otto mesi di prigione per omicidio colposo e lesioni colpose. La motivazione era singolare:  aveva aperto il fuoco perché non era lucido, pensava di trovarsi ancora in pericolo. Però aveva comunque sorpassato la misura della legittima difesa, poiché non si era limitato a sparare dentro la tabaccheria bensì aveva inseguito i ladri fuori dal negozio, colpendone uno alle spalle.    Ieri, invece, i giudici hanno stabilito che sparò per difendersi.
Fino all’altro giorno, tuttavia,  chiunque venisse aggredito e minacciato, se metteva mano alla pistola rischiava grosso.
 Ricordiamo ancora il volto gonfio per le botte, gli occhi anneriti dai colpi, il sangue raggrumato di Remigio Radolli, il gioielliere di Cinisello Balsamo che fu assaltato con brutalità inaudita all’interno del suo negozio da due albanesi. Uno dei quali prese a picchiarlo selvaggiamente con il calcio della pistola, disfacendogli la faccia in un’unica tumefazione. Radolli, nel mezzo di quella pioggia di colpi, riuscì a impugnare la calibro 22 e a premere il grilletto, ferendo il malvivente che lo stava massacrando. Finì che indagarono il gioielliere per eccesso di legittima difesa.
  Giuseppe Maiocchi e il figlio Rocco, anche loro gioiellieri,  furono condannati rispettivamente a un mese e a 18 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, per lesioni personali e omicidio colposo, anche se il pm aveva chiesto 10 anni per entrambi.  Avevano sparato su un ladro che si era introdotto nella loro bottega e un colpo esploso da Rocco l’aveva ucciso. Quando la Prima Corte d’Assise di Milano rese nota la sentenza  ci fu chi protestò perché i giudici erano stati troppo teneri.
   La legge sulla legittima difesa esisteva, l’aveva varata nel 2006 il governo Berlusconi, stabiliva che non è punibile chi utilizza «un’arma legittimamente detenuta al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità e i beni propri o altrui, quando vi è pericolo di aggressione». Però la sensazione era che, in realtà, al cittadino fosse consentito solo di soccombere.  Come è successo qualche giorno fa a Giovanni Ravanotto, salumiere di 56 anni che a Milano ha reagito a una rapina impugnando un coltello e si è beccato una pistolettata che gli ha bucato la pancia. Ne è uscito vivo per miracolo.
 Il fatto è che una certa cultura progressista molto diffusa qui da noi ha sempre avuto problemi a tutelare la proprietà privata. Si è  privilegiata la ragione dei banditi:  tabaccai, gioiellieri, salumieri e commercianti, in fondo, sono dei “padroncini” e in qualche modo meritano che i poveracci si riprendano con la forza ciò che il capitalismo toglie. Un corno. Chi viene aggredito ha diritto a reagire.
E se per caso uccide non si può considerarlo un killer. Come si fa a  pretendere che uno venga minacciato, terrorizzato, magari pestato e conservi pure la lucidità necessaria a sparare solo per ferire? Impossibile.
  La vicenda di Petrali - che ha sparato anche fuori dal negozio - è molto più delicata  e forse discutibile di altre analoghe. Ma queste riflessioni passano in secondo piano di fronte alla buona notizia: da ieri difendersi è un diritto. E non per finta.

domenica 20 marzo 2011

Record di flop: 30 su 30 le archiviazioni sulle indagini iniziate da De Magistris

L'ex Magistrato aveva iniziato le indagini, ma i suoi successori hanno archiviato tutto per "mancanze di prove".


Trenta su trenta fa un certo effetto. Soprattutto se si tratta di trenta archiviazioni chieste dalla procura di Catanzaro e sottoscritte in toto dal gip Maria Rosaria di Girolamo dopo che l’allora pubblico ministero Luigi De Magistris aveva ottenuto la sua notorietà mediatica proprio su inchieste come la cosiddetta “Toghe Lucane”, prima di buttarsi in politica con l’Idv. Con ben ventiquattro capi di imputazione: dalla corruzione in atti giudiziari, da aggiusta processi, all’associazione a delinquere. Trenta su trenta, un altro procedimento choc di De Magistris finisce invece in archivio. Non solo non c’erano prove ma nemmeno indizi tali da poter essere vagliati in un processo.  Così il successore, il Pm Vincenzo Capomolla di Catanzaro ha chiesto e ottenuto di mandare tutto in soffitta.
L’elenco delle persone che riacquistano dignità dopo il fort apache mediatico sono di livello. A iniziare dalla nomenclatura in toga della Basilicata che per l’accusa (ora evaporata) si era riunita addirittura in un’associazione a delinquere dai mille tentacoli sorprendenti. Infatti, c’era un arci nemico di John Henry Woodcock come Vincenzo Tufano, procutore generale a Potenza, magistrati lucani come Gaetano Bonomi e Felicia Genovese dell’antimafia, il procuratore capo di Matera Giuseppe Chieco, poi  Iside Granese, presidente del tribunale di Matera, fino all’allora moglie di Marco Follini, l’architetto Elisabetta Spitz, senatori come l’aennino Emilio Buccico,  all’epoca membro del Csm, e l’ex presidente della Regione Filippo Bubbico.
Qualificato il gruppo di carabinieri coinvolto con i generali Massimo Cetola (già numero due dell’Arma) ed Emanuele Garelli, oggi a capo della Dia, ufficiali come il colonnello dei carabinieri Pietro Gentili, capo della polizia giudiziaria a Potenza, Luisa Fasano, dirigente della squadra mobile della città dove era indagato anche il questore Vincenzo Mauro, per finire con l’avvocato Giuseppe Labriola, presidente dell’ordine forense di Matera. In particolare “si ipotizzava” per Tufano e Bonomi che “esercitassero un’indebita attività di interferenza nei confronti del pm di Potenza John Henry Woodcock”.  Un gruppo di potere quindi che avrebbe addirittura aggiustato processi, favorito amici e amici degli amici, in una lobby in toga dalle capacità criminali sorprendenti per telecomandare la giustizia fino ad influenzare addirittura procedimenti disciplinari e promozioni espressi al Csm, tramite Buccico. Senza privarsi della solita massoneria coperta espressa, sempre per l’accusa di De Magistris, stavolta dal malcapitato avvocato Labriola.
Invece, al netto dello stile proprio di De Magistris di condurre le indagini cosa rimane? Il nuovo pubblico ministero chiede l’archiviazione “fondata sulla mancata individuazione di elementi fattuali di per sé idonei a integrare gli elementi costitutivi dei reati ipotizzati o comunque tali da consentire il proficuo esercizio dell’azione penale”. In una parola, lo zero assoluto. Nel provvedimento, infatti, si ripetono frasi come “nulla è stato provato”, “vi è la mancanza della prova”, e “non si rinvengono elementi tali da poter desumere che vi sia stata una effettiva ingerenza in ambiti ispettivi e disciplinari per favorire alcuni magistrati di Potenza”. In pratica il gip osserva come la profonda spaccatura presente a Potenza tra giudici, da una parte Woodcock , il gip del Savoiagate Alberto Iannuzzi e il procuratore capo, non nasceva da una serie di illeciti penali  evidenziati proprio da questo gruppo che puntava l’indice contro chi è finito sotto inchiesta da De Magistris.
Anzi, i rilievi e le contestazioni che Tufano e Bonomi muovevano nei confronti di Woodcock e Iannuzzi erano legittime. Dalle macerie si può costruire ben poco. E se per De Magistris si tratterà di acqua passata, bisogna ricordare che alcuni dei colleghi sui quali indagò non hanno retto anni e anni di esposizione mediatica e di accuse. Come la Granese che per questa inchiesta lasciò la magistratura per trovarsi ora riabilitata.

Gigi Falco: Pronto ancora una volta... per l'amore che ho per Caserta.




Showman come ai tempi d’oro, istrione quanto basta, misurato e ironico negli attacchi ai competitor, duro contro il vertice del partito che lo ha prima «vilmente blandito» e poi scaricato, capace di toccare le corde giuste del suo elettorato. È stato un bagno di folla andato oltre ogni rosea previsione la discesa in campo ufficiale dell’ex sindaco Luigi Falco. Ieri pomeriggio al Centro Sant’Antonio supporter e curiosi tracimavano dalla sala occupando ogni spazio disponibile, dagli androni alle scale, fin giù nel cortile, nei vialetti e addirittura sul marciapiede. L’appuntamento - nonostante la nonchalance ostentata dall’ex primo cittadino e dai suoi collaboratori - era stato curato nei minimi particolari, dalle hostess che sfoggiavano la coccarda con i colori del sindaco, blu e rosso come quelli della Casertana, alle bottigline d’acqua minerale che invece della marca riportavano il logo del neonatologo, mentre la proiezione no-stop del maxischermo ricordava il suo grido di battaglia: «Ho scelto di nuovo la mia città». Come testimonial l’avvocato Taormina di Lega Italia insediato alla sua destra, lui - spezzato grigio con cravatta rosa - al centro del tavolo dove Fabio Squeglia e Giovanni Di Costanzo fanno da ali, davanti la gens casertana di sempre, quella che lo conosce da prima del 1998 e che per due mandati lo ha visto governare il capoluogo, impiegati e funzionari comunali (Sibillo, Quintavalle, etc) commercianti ed esercenti (tra gli altri Umberto della Veneziana), ex assessori come Antimo Ronzo e Attilio Romano, professionisti come Carmine Lisi, leader delle associazioni come Anna Giordano, e tanti peones della politica all’ombra della Reggia. Tanti che forse alla fine sceglieranno diversamente o che, invece, diventeranno procacciatori di altri voti. Incipit con l’inno nazionale (tutti in piedi, molti con la mano sul petto) e un minuto di silenzio per l’anniversario della morte di don Peppino Diana. Auguri a tutti i papà e via alle danze. Filo conduttore del discorso: perché sono ancora qui «ad abbracciare la croce». Per mia moglie («È nascosta in sala da qualche parte, come al solito»), per i figli Pietro e Paolo, e per Caserta. «Una città confusa e spaurita che sto cercando nuovamente d’aggregare, dandole - è la sua risposta - un nuovo tessuto sociale, speranza e progetti». Perciò è nata l’associazione «Sei Caserta» che conta ormai più di duemila iscritti, perciò Falco si è rimesso in gioco. I vertici del Pdl (citati il coordinatore regionale e il coordinatore provinciale e i loro vice) prima hanno srotolato tappeti rossi davanti all’ex sindaco definendolo la «migliore scelta possibile» e poi, «nonostante i sondaggi e le verifiche accurate sui sondaggi» che confermavano questa opzione, hanno puntato su un’altra persona. «Il motivo per cui sono qui è perché sono stufo di vedere persone sbagliate nei posti giusti, sono stanco di vedere questo teatro delle marionette dove comanda uno solo, il mio centrodestra - ha sottolineato - è un’altra cosa». Più vicino, fa capire, a Paolo Romano o a Massimo Grimaldi, per i quali «le situazioni di Caserta o di Santa Maria Capua Vetere sono un problema serio». Un centrodestra («perché non ce n’è uno solo») dove chi comanda è la città. Sicuro come un guascone: «Non appoggerò Marino al secondo turno, vincerò io»; non proprio imparziale: «Marino è in gamba ma non è credibile perché è stato assessore del centrodestra, Del Gaudio è stato assessore ai mercati...»; sadico: «Che dite? Meglio l’originale o le fotocopie?». Infine, dopo un rapido passaggio sul disastro firmato Petteruti, sulla necessità «di riprendere il programma da dove l’avevamo lasciato», sui tempi grami e le casse vuote in cui cadrà il prossimo mandato, l’affondo sul competitor: «Caserta ha bisogno non di personcine educate e sorridenti, ha bisogno di un carrettiere, Caserta è piena di problemi e di potenzialità, è come una auto fuoriserie, una Ferrari: ci mettereste alla guida - grida - un ragazzino che non ha nemmeno la patente?». Standing ovation assicurata.

Fonte: Il Mattino

sabato 19 marzo 2011

Casapulla. Amianto e rifiuti tossici in via Nocelle, è allarme

Segnalazioni dei cittadini pervenute oltre un mese all'attenzione dell'Ente: Bosco fa orecchie da mercante.
 
 
 
CASAPULLA: “Da oltre un mese - scrive un cittadino residente nel Comune di Casapulla - ho scoperto l'ennesima discarica di amianto a cielo aperto. La discarica è situata in via Nocelle intersezione Domenico Sbarra dove si torvano cumuli di amianto ben occultati e sommersi da diversi tipi di rifiuti che rendono questa discarica ben visibile nonostante tutto. Inoltre alla fine della strada Domenico Sbarra che si immette su via Quattro Novembre da circa tre mesi è in giacenza un fusto di olio per auto usato che reca a chiare lettere la scritta ‘nocivo’. Anche questo fusto è ben visibile ma tutti sembrano indifferenti”.
“Dopo aver scattato delle foto ed averle pubblicate in rete - continua Antimo Valle - è stata avvertita l'amministrazione comunale con una lettera direttamente indirizzata al sindaco del Comune di Casapulla e al presidente del Consiglio. La stessa è stata inviata l'11 di febbraio 2011 e, a circa un mese e piu' di distanza, nulla è successo. Solo indifferenza totale”.

Indagato Antonio Di Pietro: incassati i rimborsi elettorali in modi poco chiari.

Lo ha denunciato il suo ex amico elio veltri.


Antonio Di Pietro è stato iscritto sul registro degli indagati della procura di Roma per una vicenda di rimborsi elettorali incassati dall’Italia dei Valori. Truffa è il reato ipotizzato dall’aggiunto Alberto Caperna e dal pm Attilio Pisani dopo una denuncia presentata nelle scorse settimane da Elio Veltri, sei anni fa candidato in una lista collegata all’ex pm di Milano alle elezioni europee. Stando alla denuncia, l’associazione Italia dei Valori si sarebbe sostituita nella gestione dei fondi elettorali al movimento politico di cui è leader Di Pietro. E tutto sarebbe avvenuto con una serie di false autocertificazioni. Al di là dell’apertura del procedimento, a piazzale Clodio si ricorda che da un lato fascicoli scaturiti da denunce analoghe sono finiti in archivio e dall’altro che lo stesso Di Pietro, qualche mese fa, ha firmato davanti a un notaio un atto  per sancire che associazione e movimento politico Italia dei Valori sono la stessa cosa. Sulla vicenda, i magistrati hanno delegato una serie di accertamenti alla Guardia di Finanza. «È sempre la solita storia trita e ritrita su cui già, più volte, si sono espresse le varie procure della Repubblica, archiviando il caso. Per cui la Procura della Repubblica di Roma non poteva non procedere, anche questa volta, a seguito del solito esposto». Lo afferma in una nota il leader dellIdV, Antonio Di Pietro. «Porteremo, ancora una volta - continua - le carte per dimostrare che è tutto in regola, come peraltro hanno accertato ormai da tempo non solo plurime autorità giudiziarie, ma anche, da ultimo, l'Agenzia delle Entrate e gli organi di controllo amministrativi e contabili. Ci vuole pazienza, ci sono persone che non si rassegnano alla propria sconfitta politica e continuano ad infangare gli altri».